Amici convenuti.
Penso sia un bene trovarci in incontri come quello odierno in cui la presenza di tanti giovani è immensamente gradita, perchè ripercorrere con loro la storia, dovrebbe essere una costante abitudine. Solo così essi potranno capire la realtà che aiutò questo Paese ad uscire a testa alta dalla catastrofe in cui il fascismo l'aveva precipitato.
L'ordine del giorno di questa giornata ci pone un quesito: Dalla piccola alla grande Repubblica, per cui, come testimone diretto di quel lontano periodo, ringraziando gli organizzatori per questo incontro, cercherò in breve di raccontare cosa fu e cosa rappresentò per me ed i compagni di allora quell'importante evento.
In quel territorio liberato dalla presenza dei presidi fascisti e dei tedeschi, furono poste le basi per una convivenza democratica sul piano civile e amministrativo. Per noi fu anche l'illusione ad un approccio di esempio ad un prossimo futuro che avrebbe potuto e dovuto vedere l'essere umano acquisire gli elementari principi della sana convivenza, quindi, doveri e diritti uguali per tutti, una necessaria conflittualità sui problemi, ma sempre nella dimensione della pacatezza e dell'educazione nel contesto democratico.
Coloro che ci parlavano del presente, ma anche del prossimo futuro, cioè i nostri Commissari politici, nel lavoro che svolgevano vi era il costante riferimento ai valori della solidarietà umana, insistenti erano i richiami al senso dell'unità antifascista, della eguaglianza nei diritti e nella libertà del pensiero e della espressione. E non era raro che si trovassero a dover discutere e dialogare anche animatamente per calmare gli animi accesi di partigiani che portavano in loro il profondo rancore per le angherie, il disumano sfruttamento e le continue prepotenze che i loro padroni gli avevano imposto.
Le regole che i commissari ci insegnavano erano: l'onestà, quando si entrava in casa d'altri, chiedere permesso, non compiere soprusi, portare rispetto a tutti, differenziarsi dai comportamenti del nemico. L'entusiasmo di quegli insegnamenti, ci davano l'illusione di poter ripulire il paese da tutte le brutture che lo avevano insudiciato. Ciò accrebbe anche la nostra ambizione militare e la volontà di fare di quel territorio una vera base di partenza militare da cui sferrare l'ultimo e decisivo attacco ai tedeschi per la loro cacciata dal suolo nazionale. Concetto questo che ho già ripetutamente espresso in questi anni del dopo guerra e che tengo a ribadire.
Questo allora era il pensiero mio, dei cento compagni che componevano la formazione e che circolava nel partigianato.
Eravamo ragazzi cresciuti negli anni difficili della dittatura fascista e che nell'adolescenza dovemmo diventare uomini e scegliemmo la lotta e la vita dura che quella lotta imponeva. Non eravamo guerriglieri, ma la necessità del momento, ci dette la caparbia volontà di imparare e ci educammo a superare le debolezze.
Le travagliate vicissitudini ci dettero la capacità di capire la solidarietà ed il reciproco rispetto, come quello verso le popolazioni montanare, il cui appoggio materiale e morale ci aiutò a superare la fame, il freddo e tutto il negativo contesto che era in quel terribile periodo di vita.
Quel territorio liberato, che comprendeva quattro Comuni delle province di Modena e tre di Reggio Emilia, conosciuto come Repubblica di Montefiorino, durò dal 17 giugno al 1° agosto 1944 e fu la prima delle varie repubbliche partigiane che si costituirono in quel 1944 nel Nord Italia e, come già detto, ci portò entusiasmo e speranze, convinti di avere dato inizio ad un fatto di grande importanza politico militare.
Il massiccio attacco portato dai tedeschi alla Repubblica all'alba del 30 luglio 1944 non ci stupì. Infatti le proposte di tregua portate dal Comando Militare tedesco al nostro Comando alla metà del mese di luglio per avere libero accesso alle strade verso la linea Gotica erano state respinte. Ciò che ci meravigliò fu la mancanza di interesse e l'assoluto assenteismo degli Alleati di fronte ad un evento bellico di quella portata. Ci era stato promesso l'arrivo del BTG paracadutisti italiani della Nembo con adeguato equipaggiamento; ci era stato promesso l'intervento dei cacciabombardieri, ma nulla di tutto ciò avvenne.
Stavamo affrontando una battaglia campale contro due divisioni tedesche munite di mezzi blindati, mortai da 81, cannoni, mitragliatori Spandau e lanciarazzi Katiuscia con l'aggiunta di 300/400 fascisti e non mancavano i lanciafiamme, ma nessuno ci aiutò. Mancavamo anche di adeguate radio da campo per i necessari collegamenti.
La mia formazione, dopo due giorni di resistenza nella zona di Cerredolo e Toano, dovette abbandonare le posizioni perchè i nostri mitragliatori pesanti avevano le canne incandescenti e non ne avevamo più di ricambio, così come le munizioni erano agli sgoccioli. Purtroppo dell'armamento paracadutatoci dagli Alleati e giacente dentro una struttura nei pressi di Frassinoro Villaminozzo non potemmo usufruirne perchè ci era stato negato dal Maggiore inglese Johnson, che poi dette ordine ai partigiani di Ermanno Gorrieri (Claudio), che ne avevano avuto la custodia fino a quel momento, di farlo saltare.
I combattimenti che i partigiani condussero per la difesa del territorio della loro Repubblica durarono quattro giorni. Il primo agosto però, purtroppo, il territorio perse la sua fisionomia e caratteristica di libera Repubblica che aveva letteralmente precluso al nemico strade e località.
Però, in diversi Comuni, dove gli amministratori erano stati eletti in forma democratica le nuove pratiche democratiche civili rimasero tali e quali perchè i fascisti non ebbero più il coraggio di tornarci e i tedeschi si dimostrarono disinteressati alle amministrazioni di quei territori.
La lotta partigiana comunque, in quelle contrade continuò, se pure non più come lotta di posizione, ma bensì di movimento, come la logica del "mordi e fuggi" consigliava.
Tornando alla Repubblica di Montefiorino, non ci si può rifare ad essa senza avere un riconoscente ricordo per i vari comandanti che contribuirono a crearla: Teofìlo Fontana, Giuseppe Barbolini "Peppino", Emilio Niccioli "Orlando", Norma Barbolini, Cesario Pallandri "Balin", Delciso Rioli "Narciso", Adelmo Bellelli "Ercole" ed altri e fra essi in testa Mario Ricci "Armando" e Osvaldo Poppi "Davide". Armando a noi giovani diceva che il sacrificio al quale la nostra generazione si stava sottoponendo, era lo stesso a cui tanti della sua si erano impegnati in Spagna per la libertà di quel popolo e che, pure nelle grandi difficoltà del momento, mai dovevamo perdere la fiducia per un mondo più libero e giusto. Per cui, le prove che stavamo superando e quelle che ancora avremmo dovuto affrontare erano durissime ma sicuramente vincenti.
Oggi, possiamo certamente dire che quegli uomini delle classi anagrafiche che andavano dagli ultimi anni dell'ottocento ai primi del novecento, che subirono galera, angherie e soprusi di ogni tipo, rinunciando a comode posizioni, ma avendo nel proprio animo solo i bisogni di chi soffriva e non aveva di che sfamarsi, furono per noi giovani veri maestri di vita e di lotta e non solo con le parole ma con il costante esempio delle loro persone.
La nostra infanzia fu vissuta nella povertà e nella continua ingiunzione dei doveri senza diritti e ci portò alla adolescenza senza neppure farci provare il gusto della giovinezza. Questo perchè quel nefasto regime fascista, impositore, aggressivo e guerrafondaio, aveva cacciato il Paese in una incosciente e presuntuosa aggressione al mondo senza neppure averne i mezzi adeguati, che ci costrinse poi a vedere ben 22 eserciti di altrettante nazioni calpestare il suolo italico, portando distruzione e morte ovunque, costringendoci, come ho già detto, a diventare in fretta uomini.
Imparammo a capire il senso della solidarietà, quello della giustizia e del fraterno reciproco appoggio, imparammo che esistevano dei diritti anche se mai disgiunti dai doveri. Capimmo che quei valori avrebbero significato un fattore immenso per la vita futura e per ciò sopportammo pericoli, fame, freddo e sofferenze con grande abnegazione. Affrontammo gli uomini dell'esercito più preparato al mondo con il coraggio e la volontà di riscattare la dignità e l'onore che il fascismo aveva fatto perdere alla nostra nazione; volevamo riprendere la onorabilità perduta di fronte al mondo come cittadini italiani. L'insegnamento e la guida di quegli uomini di cui ho parlato, fu determinante per tutti noi giovanissimi e la fatica per conquistarci la fiducia degli Alleati anglo-americani fu enorme.
Purtroppo le speranze che avevamo di costruire una società più giusta, più umana,più solidale e senza privilegi, fu volutamente boicottata e distorta fino a falsarne i più elementari contenuti. I primi sintomi di tale situazione cominciarono già a manifestarsi in pieno periodo di repubblica partigiana.
Personalmente fui da Davide in persona esortato alla prudenza e a rifiutare eventuali provocazioni. Fra le nostre forze vi era qualcuno che consapevolmente e scientemente nei propri comportamenti non nascondeva sentimenti di ostilità nei confronti dei garibaldini e comunisti per cui, a volte, veniva persino messo in discussione il concetto unitario dell'antifascismo, fino a giungere a punti di rottura.
Ciò però non avvenne mai, perchè nei dirigenti comunisti, azionisti e socialisti, componenti il CLN prevalse sempre il buon senso ed il necessario compromesso.
E' difficile ripercorrere oggi quei momenti senza correre il rischio di essere fraintesi e accusati di "propagandismo" mentre si tratta di semplice e pura cronaca. Se si vuole raccontare la storia, la vera storia, non si possono tralasciare momenti e fatti, che io definivo di pericolosa assurdità.
Purtroppo all'interno del CLN vi era chi aveva interesse per il dopo guerra, a distorcere la verità agli stessi Alleati e strumentalmente far loro credere che le forze garibaldine dei partigiani erano impegnate sul piano ideologico per imporre nel dopo guerra un'altra dittatura al posto di quella fascista. Colui che non era uno sprovveduto, conoscendo certi particolari, poteva già da allora intuire la presenza di forze antifasciste, che pur condividendo l'abbattimento di quella dittatura, non condividevano modifiche e cambiamenti nella società capitalistica e tutti i suoi immensi gravi difetti. Per ciò, era necessario iniziare a screditare coloro che decisamente lottavano per concrete riforme nella società; per cui fecero intendere in modo diverso e falso la nostra realtà resistenziale inventando anche odiose calunnie, ampiamente propagandate nei confronti di Davide e Armando e quindi date in pasto ai Comandi Alleati.
La Repubblica di Montefiorino per tanti di noi, allora, aveva rappresentato una esperienza impensabile, anche perchè ci fece vivere giorni di grande solidarietà con uomini soldati appartenenti ad altre nazioni. Con loro si divise tutto: momenti di gioia, di pericolo, di sofferenza e morte. La nostra scarsa cultura si arricchì della conoscenza dei costumi ed usi dei loro Paesi. Era presente una fratellanza che ci univa profondamente nella lotta che stavamo conducendo contro il nazifascismo.
Ma come ho già detto, vi furono in quei 44 giorni della repubblica momenti di grande disappunto in cui constatai e toccai con mano la perversa malvagità dell'intrigo che si inseriva nella politica. Era doloroso, a volte, sentirsi dire che il nostro comportamento di garibaldini propenso all'attacco al nemico era la causa di ritorsioni e stragi verso le popolazioni, perchè nella realtà non era così.
Le stragi compiute dai nazifascisti, avevano lo scopo della ritorsione ma anche quello della intimidazione e della malvagità. Noi Garibaldini eravamo profondamente convinti che il riscatto per la libertà dell'Italia fosse innanzitutto compito degli Italiani, per cui, se c'era un prezzo da pagare non doveva essere demandato a ragazzi di altre nazioni ai quali in tutti i modi dovevamo dire grazie per il grande aiuto che ci davano.
Ho sempre detestato le ipocrisie e per tale motivo tengo ad esprimere, forse anche con una certa ingenuità, ma con chiara sincerità ed onestà le amare constatazioni che ebbi a dover fare.
Fu per me doloroso toccare con mano in epoca di pieno conflitto di guerra unitaria contro il nazifascismo, il perverso intrigo politico che andava ad investire la popolazione per condizionarla ancora prima che la guerra finisse.
Su ciò che avvenne dopo Montefiorino ho sempre voluto esternare, e lo farò pure oggi, il mio pensiero sulle vicende militari dell'autunno 1944, che al loro inizio vissi di persona e che quasi mi furono tragicamente fatali. Quando i tedeschi si accinsero a formare la nuova linea, detta "verde", sulla catena di monti che andava dallo Spigolino al Cimone e dal Lacero alla Riva, su quelle cime c'eravamo noi partigiani e ci accorgemmo a nostre spese (lasciandoci pure dei compagni morti) che già dai primi di settembre vi si aggiravano pattuglie di tedeschi travestiti da partigiani, probabilmente per sondare il terreno e la stessa forza partigiana in previsione di sferrare l'attacco che poi gli fece occupare quei luoghi.
Io stesso ed il compagno Tono, rientravamo provenienti dallo Spigolino verso il Cavone, dove provvisoriamente sostava la nostra formazione, ci imbattemmo in una di quelle pattuglie: molti avevano la giacca militare rivoltata e così la bustina che tenevano sulla testa e che all'interno avevano fodere di colore rosso. Io e Tono ci insospettimmo perchè erano troppi i copricapo di colore rosso, per cui anticipandoli, dopo aver loro "spedito" una raffica di mitra che li disorientò, ci precipitammo in un precipizio nel quale lungamente ruzzolammo e con grande fortuna alla fine ci ritrovammo ammaccati ma salvi.
Se gli americani, con più fiducia ed oculatezza militare, ci avessero fornito il vettovagliamento e l'armamento necessari e indispensabilmente adeguato per attestarci con una equilibrata difesa su quelle cime, esse sarebbero rimaste nostre e sicuramente ai tedeschi l'unica strada da percorrere sarebbe stata quella che portava al fiume Po. Le interpretazioni di sfiducia e le decisioni politicamente sbagliate di quei giorni, purtroppo furono pagate con un prolungamento della guerra, tante distruzioni e tanti esseri umani che vi persero la vita, comprese quelle migliaia di ragazzi americani e brasiliani che così non poterono più rivedere i loro Paesi.
Armando mise in guardia gli americani sulla importanza strategico militare del Monte Belvedere e con i suoi partigiani in una notte piovosa, nebbiosa e molto fredda dell'ottobre 44, facendo oltre cento prigionieri tedeschi lo conquistò. Ma il Comando Militare Statunitense snobbò la questione e se ne disinteressò, per cui i teutonici se lo ripresero, dando poi notevole filo da torcere nei successivi mesi di guerra.
Furono, quelli, sei intensi mesi in cui i partigiani mostrarono fedeltà e capacità di lotta alle truppe alleate con cui operavano. Nonostante tutto, vi furono anche momenti di tensione ed imbarazzo verso i partigiani garibaldini che a proprie spese vissero i sintomi di quella ostilità politica accennata e che si sarebbe poi sviluppata esplicitamente esplodendo nel dopo-guerra.
Gli storici contemporanei, con impegno e leale onestà dovrebbero approfondire e mettere a conoscenza della storia ciò che veramente avvenne nel dopo guerra. Con i miei compagni di lotta avevamo veramente creduto ai valori della fratellanza, dell'altruismo, del reciproco rispetto, della giustizia uguale per tutti, della umana convivenza civile. Per quei valori avevamo combattuto, ma purtroppo ci rendevamo conto che la sostanza della società non sarebbe cambiata.
In Italia volutamente non ci fu una Norimberga e neppure le dovute epurazioni, ma nel nome di una vergognosa e voluta guerra fredda, l'apparato burocratico della nazione rimase tale e quale quello degli anni trenta. I vecchi metodi cari alle forze della conservazione e della reazione tennero a mantenere in vita i concetti dell'opportunismo, dell'intrallazzo, della corruzione, del clientelismo, della discriminazione e della persecuzione.
Negli anni a trascorrere, l'individualismo pareva fosse il concetto primario dei governi che si succedevano, per poi divenire un punto fermo nell'attuale società. I partigiani che si erano battuti per stabilire regole che poi furono scritte dalle forze dell'antifascismo nella Carta Costituzionale Repubblicana del Paese, subirono discriminazioni, soprusi di ogni specie ed arresti, anche se, comunque, "ironicamente" potevano dire di avere in tasca uno straccio di carta a firma del Generale Alexander nel quale stava scritto che: nel nome dei governi e dei popoli delle nazioni unite si ringraziavano i partigiani per aver combattuto il nemico sui campi di battaglia e per aver contribuito così al trionfo della libertà.
LIBERTA'! retorica parola che senza giustizia non ha alcun significato. Ed è triste per noi ora, dover ricordare che in questo lungo dopoguerra, in più occasioni e con situazioni diverse, abbiamo dovuto lottare e chiedere la solidarietà al popolo italiano per sventare i continui attacchi alla Resistenza, ai partigiani, alla Costituzione. A questa meravigliosa Carta che tutto il popolo antifascista volle; scritta con il sangue ed il sacrificio di milioni di persone e che fino ad ora, anche se è stata sempre disattesa e vilipesa è riuscita però almeno a tenere in piedi una parvenza di libertà e di democrazia. Purtroppo non è riuscita ad evitare la degenerazione della nostra società in cui impera il malcostume ed il fango che rischiano di travolgerla.
Cari giovani!
Nel periodo del partigianato avevo sognato, e non ero il solo, ad una nuova Italia in cui la comunità fosse sensibile al bene della collettività. Con i miei compagni di lotta immaginavamo una nuova società solidale e leale, dove gli "arraffoni", gli individualisti e i qualunquisti avrebbero dovuto assoggettarsi al nuovo.
Credevamo che questo si potesse fare, ma in realtà era una utopia. Non per questo ci siamo dati per vinti e questa consapevolezza in me non è mai tramontata.
Giunti ora ad una "veneranda" età vi diciamo di battervi affinchè i sani principii di giustizia, di eguaglianza e di onestà diventino elementi prioritari e imprescindibili per tutti i cittadini italiani.
Il costante e malsano esempio che in tanti anni è stato diffuso dai pulpiti politici corrotti, mi auguro sia ormai giunto a termine, per cui c'è bisogno di reagire e quindi risalire la china che ci ha portato a questa situazione.
Per fare questo c'è bisogno di nuovi personaggi che abbiano l'obiettivo di ripulire questa Nazione ed il gusto di correggerla dalle pagine erosive che l'hanno inquinata fin dagli anni del dopoguerra. Necessita una nuova mentalità che si impegni contro le grandi e piccole disonestà. E importante un diffuso impegno per creare i presupposti per una nuova passione civile in cui ci sia il gusto di sentire le responsabilità verso i propri concittadini e la società.
C'è bisogno di un nuovo Paese che riprenda fiducia verso una sana ed onesta politica.
C'è la necessità di stimolare gli ideali di una vita civile che sappia promuovere in cento e mille modi l'educazione allo sviluppo e alla vera laicità dello Stato. Il rispetto verso gli esseri viventi, le cose e l'ambiente, sono fattori essenziali che hanno in sè i grandi valori utili per vivere in una sana democrazia, in una vera giustizia sociale, in una duratura pace.
L'invito che modestamente sento di farvi è quello di battervi sempre per l'acquisizione di diritti che siano accessibili e fruibili per tutti, indistintamente.
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