È giusto ricordare e commemorare la tragedia e la violenza delle foibe e il dramma dell'esodo dall'Istria, dal Quarnaro e dalla Dalmazia alla fine della Seconda guerra mondiale, certo condannando tutto ciò che ha sortito e provocato questi drammi, ma con ferma e convinta volontà di voler andare avanti.
Vogliamo conservare e coltivare la memoria facendo sì che ciò abbia un effetto per quanto possibile positivo oggi, tentando cioè di superare la memoria come fonte di rancore, perché è ovvio che la memoria rancorosa non contribuisce a rendere più unita una società ma rappresenta solitamente un ostacolo su questo percorso.
È giusto ricordare in omaggio a chi ha sofferto in prima persona delle violenze e il più delle volte - mi riferisco ai profughi - non è stato capito, nel senso che non è stata capita la dimensione del dramma che viveva, subendo così, per certi versi, un secondo dramma, quello di sentirsi non capito, appunto, quando non addirittura bistrattato da coloro che sperava gli riservassero l'accoglienza che ci si attende dai connazionali.
Lo dico con sincera e ferma autocritica, ma è purtroppo sempre così: i profughi, gli sfollati soffrono due volte, la prima perché costretti a fuggire dal loro ambiente di casa, diventato stretto e insostenibile, la seconda perché approdano in un ambiente che scoprono ben presto non accogliente come pensavano.
Dico “sempre” perché questa storia si ripete ancora, purtroppo, e l'ultimo esempio è nei vicini Balcani. È giusto ricordare, quindi; lo abbiamo fatto in maniera approfondita e diffusa quando approvammo la legge un anno fa, sottolineando altresì i ritardi, i silenzi, le rimozioni, le reticenze, i giustificazionismi che erano stati accumulati in rapporto a quelle vicende, e lo abbiamo fatto autocriticamente, mi permetto di ricordarlo, per quanto riguarda la mia parte politica.
Oggi siamo a un anno di distanza dall'approvazione di quella legge e siamo chiamati a spiegare e riflettere, perché questo è il senso di quella legge.
È la cosa in realtà più difficile, più impegnativa, perché dobbiamo tutti noi, tutte le parti politiche intendo, respingere la tentazione - a cui siamo soggetti credo tutti - di usare la memoria del passato come strumento politico oggi; e dobbiamo altresì evitare la tendenza, molto comune in questi casi, ad usare l'analisi storica dettagliata come strumento per il nostro agire politico.
Voglio dire che dobbiamo distinguere tra i compiti della disciplina storica, che ha come oggetto del proprio lavoro il passato, e quelli della politica, che ha, in questo caso, come oggetto del proprio lavoro la memoria del passato, ovvero il modo in cui la memoria del passato agisce oggi, per fare in modo che la memoria non sia più motivo di divisione.
Si sa infatti che la memoria divide ancora oggi, se continua a riproporsi semplicemente in termini rancorosi e unilaterali in rapporto alle vicende che l'hanno generata. Ciò riguarda, ovviamente, tutte le parti.
Io credo che sia imperativo per noi (lo hanno sottolineato il presidente Ciampi, l'altro giorno, ed altri esponenti della nostra vita pubblica) far sì che i ricordi ragionati prendano il posto dei rancori esasperati.
Ce lo impone la necessità di rafforzare la costruzione di un'Unione Europea, di una società europea democratica e ce lo consente la distanza temporale e generazionale da quelle vicende.
Certo, la condizione per fare questo è ricordare senza rimozioni e condannare senza reticenze ciò che va condannato e denunciato: denunciare tutti i nazionalismi e i totalitarismi, il razzismo, i regimi dittatoriali che hanno determinato in Europa i conflitti con tutte le tragiche conseguenze.
Del resto, la nostra Giornata del ricordo ha riguardato le foibe e l'esodo, ma riguarda anche (lo dice il titolo della legge) le più complesse vicende del confine orientale, riguarda le vicende dell'Adriatico nordorientale, che è una delle aree che maggiormente hanno caratterizzato la storia europea del secolo scorso.
L'Adriatico nordorientale è un'area plurale, multietnica, popolata storicamente dall'etnia italiana, slovena e croata, un'area che è stata teatro di uno scontro-confronto tra due contrapposti progetti nazionali, quello italiano e quello iugoslavo.
Ciò rientra nella storia d'Europa, è noto: il nostro Continente si è dato la configurazione organizzata con il modulo dello Stato nazionale su base etnica e questo processo ha generato conflittualità nei territori misti, plurali, che diventavano territori contesi e sottoposti a processi di omogeneizzazione etnica, a tentativi di riduzione più o meno violenta a condizioni di monoetnicità. Territori come beni contesi tra Stati vicini, dunque, come luoghi di scontro violento, usati per attizzare il fuoco di molte guerre e per tenere accesa la brace anche dopo.
Chi vive o ha vissuto in questi territori plurali, multietnici, conosce il significato dell'odio, della diffidenza e della tensione interetnica molto meglio che non il significato della convivenza interetnica pacifica, anzi sa bene che questa comporta sul piano politico e culturale un doveroso e forte impegno permanente.
Io credo che da tale consapevolezza dobbiamo trarre gli insegnamenti per i nostri compiti oggi.
Italia e Slovenia sono membri dell'Unione Europea, la Croazia è sulla soglia.
Il presente ed il futuro sono quindi comuni e per renderli pacifici e produttivi dobbiamo dimostrare che quel territorio plurale è normalmente possibile come tale: il contrario, cioè, di quello che è stato.
Dobbiamo rimuovere perciò tutti gli ostacoli. E un ostacolo potrebbe essere ancora la memoria storica - anzi le memorie storiche - se non facessimo il necessario affinché si arrivi ad un consapevole riconoscimento reciproco delle memorie contrapposte, con la reciproca assunzione di responsabilità, ad opera delle parti allora contrapposte, per quanto accadde.
Questa reciprocità dovrebbe portare ad un omaggio comune a quanto ricorda le sofferenze e le violenze subite nel passato dalle diverse parti.
Dobbiamo essere capaci, proprio attraverso l'assunzione delle responsabilità, di portare rispetto a tutto ciò che è avvenuto, senza omissioni, avendo presenti tutte le pagine di quella storia, nella consapevolezza che si è trattato di uno scontro tra diversi progetti nazionali, che i nazionalismi e i totalitarismi hanno estremizzato in forme drammatiche.
Dobbiamo avere presenti, cioè, l'esodo drammatico dall'Istria, dal Quarnaro e dalla Dalmazia, la violenza e la tragedia delle foibe, la repressione contro gli sloveni e i croati durante il ventennio fascista e l'aggressione della Jugoslavia nel 1941.
Arrivare a questa visione comune, a questo omaggiare comune delle memorie diverse ci consentirà, io credo, di ricordare per unire, e non per continuare a dividere.
Il voto pressoché unanime, un anno fa, sulla legge istitutiva del Giorno del ricordo ha voluto avere questo significato.
Bisogna proseguire su questa strada: tutte le parti politiche e chi ha responsabilità istituzionale, tutti noi, dobbiamo dare prova di questa maturità, perché le condizioni per farlo serenamente sono, io credo, ormai mature.
Milos Budin, senatore triestino della Commissione Esteri, è membro della Delegazione italiana presso l'Assemblea del Consiglio d'Europa e della Delegazione italiana presso l'Ueo.
tratto da "L'Unità" del 11 febbraio 2005