(Dal sito www.ossimoro.it riprendiamo il seguente intervento di Gaetano
Arfe' dal titolo "Giustizia e Liberta': la storia di uomini che non
trionfarono mai, ma che non furono mai vinti")
Ho dato inizio alla mia milizia politica nel 1942 aderendo a un piccolo
gruppo clandestino di "Italia Libera", che faceva capo a un libraio di
Napoli, Ettore Ceccoli, originariamente comunista, amico di mio padre,
socialista, devoto al culto di Benedetto Croce, frequentatore abituale della
sua libreria. Con Croce egli mi procuro' un incontro nel corso del quale
ebbi preziosi consigli, scrupolosamente seguiti, di letture risorgimentali,
tra cui le lettere dal carcere di Silvio Spaventa: l'idea dell'antifascismo
come "secondo Risorgimento" mi e' venuta, precocemente, di la', quando mi
trovai anch'io a fare un breve assaggio di galera.
Ricordo questo piccolo episodio perche', al di la' del caso personale, mi
pare indicativo dei modi attraverso i quali si poteva diventare giellisti:
una educazione vagamente e genericamente socialista, indirizzata, al momento
della scelta, da un ex-comunista, fervido credente della crociana religione
della liberta'.
Ho partecipato poi alla Resistenza nelle formazioni Giustizia e Liberta'
dell'Alta Valtellina. Saltai l'esperienza del Partito d'Azione per aderire
nel maggio del '45 al Partito socialista, seguendo questa volta la
tradizione familiare, ma rimanendo in rapporti di collaborazione assai
stretta con gli azionisti e per essi in particolare, ritornato nella mia
Napoli, con Francesco De Martino. Seguii Saragat nella sua scissione e a
darmi la spinta decisiva fu un discorso di Tristano Codignola, fortemente
critico nei confronti del comunismo, che prendeva le mosse dal libro di
Koestler, Buio a mezzogiorno. Presto, pero', giunsi alla convinzione che
alla rivendicata e conquistata autonomia dal Partito comunista corrispondeva
una non voluta, ma ineluttabile, subalternita' alla Democrazia cristiana e
rientrai cosi' nella casa madre in coincidenza con la confluenza in essa
della maggioranza del Partito d'Azione, guidata da Riccardo Lombardi.
Ricordo l'emozione che provai quando lessi il testo del discorso col quale
egli annunciava e motivava la confluenza nel Partito socialista. Alcune
frasi, non piu' rilette, mi sono rimaste impresse nella memoria: tra esse
quella del "crisma", della sacra unzione, che ciascun azionista si sarebbe
portato addosso per tutta la vita.
Considero tra i maggiori privilegi che mi siano toccati quello di essere
stato legato come a padri o fratelli maggiori a uomini - rammento solo
alcuni di quelli scomparsi - come Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Piero
Calamandrei, Ernesto Rossi, Riccardo Lombardi, Tristano Codignola, Piero
Caleffi, Luciano Bolis, Giuliano Pischel, Enzo Enriques Agnoletti, Altiero
Spinelli, Franco Venturi, Manlio Rossi Doria.
Ho tra i miei ricordi piu' cari quello di un compagno, tra i meno noti e tra
i piu' nobili, che a questo gruppo appartenne, Nello Traquandi, il solo uomo
capace di intimidire Salvemini con uno sguardo di disapprovazione, il quale
volle, a suggello di un'amicizia che ancora mi riempie di commosso orgoglio,
che io lo accompagnassi in una delle sue visite alle tombe di Trespiano, a
salutare, mi disse, Carlo e Nello, quasi a presentarmi a loro.
Tutto questo mi consente di sottrarmi alla regola, oggi tornata di moda, che
sterilizza la ricerca storica in nome di una presunta scientificita',
liberandola anche dall'impegno alla riflessione che perennemente ritorna su
se stessa, via via adeguando la nostra capacita' di intendere la storia al
perenne maturare della nostra coscienza.
Andro' ancora oltre dicendo che scrivo non gia' nelle vesti di storico, ma
di chi e' stato partecipe, tra gli ultimi e i piu' modesti, di una storia
che ha avuto i colori dell'epopea e l'andamento di una chanson de geste, la
storia di uomini che non trionfarono mai, ma che non furono mai vinti e che
del loro operare hanno lasciato un segno incancellato e incancellabile. E'
un fatto che mentre la seconda generazione giellista, la mia, si viene
anch'essa estinguendo, gruppi di giovani si vanno formando per i quali
Giustizia e Liberta' non e' una sigla depositata negli archivi, ma un motto
che indica le ragioni per le quali la vita e' degna di essere vissuta.
Poco meno di sessant'anni sono passati dalla morte di Carlo Rosselli e circa
mezzo secolo dalla scomparsa del Partito d'Azione che fu, per breve
stagione, l'incarnazione del movimento di Giustizia e Liberta'. Il ciclo
storico dell'antifascismo militante si e' chiuso e si e' chiusa con esso una
fase della storia della nostra repubblica. Non si e' spento il dibattito
sulla tradizione giellista e azionista, anzi, al contrario di quanto e'
avvenuto per altri movimenti politici, esso e' trapassato dal piano
storiografico a quello ideologico e politico.
Quanto forte sia la carica di questo dibattito e quanto ancora calato esso
sia nella "battaglia delle idee" lo prova il fatto che di volta in volta
Rosselli e' stato presentato come il precursore di un liberal-socialismo
pudibondo - sia detto con tutto il rispetto per la persona - alla Giuliano
Amato; come il costruttore di una ideologia da "utili idioti", che ha fatto
del giellismo e dell'azionismo la maschera del frontismo comunista - si e'
inventata nelle accademie la formula un po' goffa, da agit-prop piu' che da
studiosi, di gramsci-azionismo -; come l'ispiratore remoto - e qui siamo
alla faziosita' sfrontata e canagliesca - delle Brigate rosse.
Una rassegna critica e ben ragionata di tali interpretazioni costituirebbe
un contributo di notevole interesse alla storia delle sub-ideologie
politiche del nostro tempo.
Vero e' che nella tradizione giellista coesistono e convivono in connessione
dialettica motivi contraddittori che non sono meramente ideologici, che
esprimono contraddizioni reali, a volte laceranti, le quali necessariamente
si riflettono in chi nella storia in divenire intende incidere. Basti solo
pensare che la formazione del gruppo dirigente di Gl avviene nei brevi anni
che vedono l'avvento di Hitler nella acquiescenza delle democrazie e delle
socialdemocrazie; la sedizione franchista di fronte alla quale, da solo, si
schiera dalla parte del governo legittimo, facendo gravare, pero',
attraverso i partiti comunisti una pesante e a volte fosca ipoteca sulla
pericolante repubblica aggredita dal fascismo internazionale, mentre
contemporaneamente esplode a Mosca, in forme ripugnanti, il terrorismo
staliniano, mentre le democrazie preparano la vile e miope capitolazione di
Monaco.
Nella notte che segui' la conclusione del congresso di Venezia del 1957,
nelle lunghe ore di attesa dei risultati, Nenni, che Rosselli aveva voluto
al suo fianco nella impresa di "Quarto Stato", la rivista dell'autocritica
socialista, mi parlo' a lungo di lui e delle ragioni per le quali era stato
possibile l'inserimento nel partito socialista di molti degli elementi
migliori dell'azionismo giellistico, ma non la saldatura delle due
esperienze.
Tra le ragioni della singolarita' della vicenda di Gl egli collocava al
primo posto l'ispirazione aristocraticamente libertaria del socialismo
rosselliano, che era stimolo a intuire e antivedere i fatti ma incorrendo
nell'errore, non sempre rimediabile e difficilmente perdonato, di aver
ragione prima del tempo. Questo lo aveva predestinato a una funzione
preziosa ma necessariamente minoritaria. Un destino analogo egli prevedeva
per Riccardo Lombardi, in quel momento suo alleato nella guida della svolta
autonomistica.
La vocazione libertaria di Rosselli esiste e tra le sue componenti entra
anche l'attrazione irresistibile per l'eresia, il gusto, a volte ostentato,
per l'avventura intellettuale e politica. Va pero' anche detto che, pur
restando in ogni momento un eretico, a differenza di quanto accade presso
altri gruppi minoritari, egli non contrappone mai una propria ortodossia a
quella delle maggioranze, e' aperto al dialogo su tutti i versanti, dagli
anarchici e dai trotzkisti ai neo-socialisti francesi, conservando sempre
acuta e vigile la capacita' di intendere la relativita' e la precarieta'
delle ideologie, di cogliere in esse quello che viene via via travolto e
ridotto ad ammasso di ruderi resi inutilizzabili dal procedere vorticoso
degli avvenimenti. A preservarlo da quello che nel gergo comunista veniva,
un tempo, definito avventurismo sta il culto, professato con religioso
rigore, dei principi, saldati in nesso indissolubile e sintetizzati nel suo
motto "Giustizia e Liberta'".
Rosselli e' socialista perche' liberale. Il suo liberalismo e' umanesimo
integrale, e' processo permanente di liberazione dell'uomo dai vincoli di
classe e questo nella realta' del XX secolo si definisce come socialismo e
in esso si esprime. La societa' socialista potra' anche non realizzarsi, il
"paradiso socialista" potra' anche non esser raggiunto: giustizia e liberta'
restano gli imperativi etici ai quali uniformare la propria condotta.
Il partito al quale aderisce e' il partito di Matteotti, l'uomo che egli
erigera' a esempio, per la vita e per la morte. Elegge Turati a
rappresentante dell'Italia libera, ne progetta, ne organizza e ne conduce
l'evasione in Francia, gli restera' legato da filiale affetto. Il libro che
egli scrive a Lipari, Socialismo liberale, sviluppa in sede dottrinale il
tema della rivalutazione del volontarismo contro il determinismo marxista,
riprende in sede politica, rielaborandoli originalmente, i motivi della
polemica antiriformista di Salvemini, disegna il modello di un laburismo
dinamico e volitivo di cui il movimento operaio inglese fornisce un
apprezzabile esempio, resta, tuttavia, nell'ambito della tradizione del
socialismo democratico europeo.
Quel libro dovrebbe segnare il suo punto di approdo, e tale generalmente e'
stato considerato: e', invece, il punto di partenza di un processo di
revisione permanente che lo portera' a un graduale, crescente distacco dalla
ideologia socialdemocratica, dalla sua cultura, dalla sua politica. Le tappe
del suo revisionismo procedono al passo con gli avvenimenti, sul filo di un
serrato superamento critico, nutrito di robusto senso della storia.
Lo scritto dedicato alla memoria di Turati e' un commosso atto d'amore per
il vecchio maestro, e' il riconoscimento argomentato e documentato di quanto
egli ha dato, fino all'ultimo suo giorno di vita, alla causa della liberta',
del socialismo, della nazione; e' anche storicizzazione di una esperienza
irripetibile perche' irreversibile e' il mutamento avvenuto nei moduli della
lotta sociale, politica, ideologica. I motivi polemici che egli verra' via
via sviluppando fondono le riflessioni sul passato, l'analisi del presente,
le intuizioni su quel che sara' l'imminente e incombente futuro; e' stato
merito del socialismo democratico, per Rosselli, avere indirizzato il
movimento operaio sulla via della legalita', ma il legalitarismo condanna
alla sconfitta qualora sia elevato a dogma: lo dimostra il caso
dell'Aventino, quando si erano affidate le sorti della battaglia a una forza
esterna e tendenzialmente avversa, la monarchia.
La sovranita' popolare espressa col voto e' sacrosanta, ma in circostanze
date - questa volta e' il caso della Saar, dove gli operai socialdemocratici
avevano votato per l'annessione alla Germania di Hitler - essa puo'
plebiscitariamente soffocare la liberta'.
La pace resta il bene supremo dei popoli, ma l'avvento del nazismo annuncia,
fuor d'ogni equivoco, "la guerra che torna", la guerra dei fascismi contro
l'Europa, e non sara' il rugiadoso pacifismo socialista ne' l'ignavia delle
diplomazie democratiche a fermarla.
L'internazionalismo socialista e' meritevole di ogni rispetto, ma esso resta
una patetica manifestazione di ecumenico sentimentalismo quando non sa
calarsi nella realta' nella quale il socialismo opera e che e' quella
europea.
Le dottrine, le ideologie, le formule organizzative democratiche e
socialdemocratiche sono vecchie, sono l'espressione di un mondo che non
vive, ma sopravvive, non sono piu' capaci di animare fedi, di suscitare
trascinanti passioni, di ispirare etiche di combattimento in una fase nella
quale lo scontro frontale coi fascismi sta per diventare inevitabile.
La risposta, sfortunata ma eroica, degli operai socialisti di "Vienna la
rossa" ai clerico-fascisti di Dollfuss, quella degli operai e dei contadini
spagnoli alla sedizione franchista indicano la strada da battere nella lotta
contro il fascismo e il nazismo. In questo quadro il grande fatto nuovo: la
svolta, dopo l'avvento di Hitler, in senso antifascista della politica
estera sovietica, cui corrisponde quella della Internazionale Comunista e
dei suoi partiti, che accantonano la formula del "social-fascismo", della
equivalenza tra socialismo e fascismo rispetto all'obiettivo della
rivoluzione proletaria, e lanciano la parola d'ordine delle larghe alleanze
antifasciste che troveranno nei fronti popolari la loro espressione.
Non sfugge a Rosselli quanto c'e' di ambiguo e di strumentale nella svolta
dell'Urss e della sua Internazionale, ma il fatto nuovo e' innegabile ed e'
di portata tale da imporre una revisione delle posizioni dell'antifascismo
nei confronti del comunismo. L'operazione di Stalin, infatti, e' stata resa
possibile ed e' diventata inevitabile per effetto di due fatti reali e
concomitanti: l'interesse dello stato sovietico alla difesa da una ormai
ipotizzabile aggressione nazista, l'iniziativa spontanea delle avanguardie
proletarie, controllate ancora dai vecchi gruppi dirigenti, ma cariche di un
potenziale autonomistico che non manchera' di farsi valere perche' sara' il
corso stesso delle cose a creare le condizioni idonee a che esso si
sviluppi. Ma perche' il moto cosi' avviato proceda lungo la linea giusta e'
necessario affermare, nelle parole e nei fatti, la piena autonomia
dell'antifascismo non soltanto dallo stato sovietico, ma anche dalle
gerarchie partitiche e sindacali, influenzabili dai governi, quelli
democratici come quello comunista, ai quali ideologicamente e politicamente
esse fanno capo. Il Rosselli di Socialismo liberale diventa a questo punto
l'autore della proposta, rivoluzionaria, classista, sovietista, "per
l'unificazione politica del proletariato italiano" nel quadro di una
europeizzazione della lotta antifascista.
Non puo' essere considerato neanche questo un punto di approdo: a troncare
il filo non sara' il compimento di una esperienza, ma il ferro freddo di
mussoliniana memoria.
"Il partito unico del proletariato - egli scrive poco prima di morire - se
vorra' essere una forza innovatrice autentica, dovra' essere, piu' che un
partito in senso stretto, una larga forza sociale, una sorta di
anticipazione della societa' futura, di microcosmo sociale, con la sua
organizzazione di combattimento, ma anche con la sua vita intellettuale dal
respiro ampio incitatore".
Gl si propone di esserne una delle componenti essenziali, portandovi un
programma i cui cardini sono due: la liberazione dal fascismo deve essere
opera del popolo italiano, riallacciando il filo della tradizione della
sinistra risorgimentale - ne sara' Parri l'interprete piu' fedele -, dovra'
avere il proletariato come forza motrice e dirigente, non potra' limitarsi a
proporre la restaurazione del regime prefascista; la lotta non potra' essere
condotta da un partito solo ma da un vasto e possente schieramento unitario,
rispettoso delle reciproche autonomie e animato dalla stessa volonta'.
Il quadro e' quello europeo: in esso si colloca, senza riserve e senza
residui la rivoluzione antifascista italiana.
A tracciare le grandi linee e' Rosselli, ma egli da' voce a motivi discussi
e maturati nell'ambito del movimento, in rapporto, in una prima fase, con
Salvemini, col concorso di compagni come Silvio Trentin, come Emilio Lussu,
come Andrea Caffi, come Franco Venturi, come Aldo Garosci, in costante
rapporto di scambio con la cultura europea, soprattutto quella francese. Su
questo tema, mi piace ricordare, associandovi la rinnovata espressione del
nostro omaggio, le pagine scritte con la finezza del grande intellettuale,
il rigore dello storico, la passione del testimone, da Franco Venturi,
scomparso nella giornata conclusiva del nostro convegno su Parri.
Questo insieme di ispirazioni e di motivazioni diverse e tendenzialmente
divergenti non puo' comporsi in dottrina, ma crea qualcosa di piu' che una
dottrina, un ethos politico che ha il rigore dei comandamenti. Ne scaturisce
un'etica che si caratterizza, come quella comunista, per la sua carica di
volontarismo teorico e pratico, ma che non e' condizionata dalla mistica del
partito: la fedelta' e' tutta e solo ai principi che si professano, la
responsabilita' delle scelte e' tutta e solo di chi le compie. E' un'etica
necessariamente minoritaria, di una aristocrazia militante e combattente,
nella quale l'eroismo entra, si potrebbe dire, come componente organica.
Nella graduatoria di Rosselli al primo posto e' Matteotti, ma tutti gli
eroi, dai martiri del Risorgimento ai fucilati e ai perseguitati di
Mussolini, ai combattenti di Vienna e di Madrid sono oggetto di culto.
E' un ethos che cerca e trova le sue radici nella storia nazionale. Il
richiamo al Risorgimento non ha nulla di strumentale o di occasionale.
Acquisizione tardiva per i comunisti, esso e' per Rosselli il motivo
ispiratore dominante fin dal suo primo ingresso nella lotta politica e
penetra nella cultura giellista, decantandosi lungo una linea
storiograficamente revisionistica nella quale Mazzini e Pisacane diventano i
simboli. E' il tema che Nello Rosselli affronta in sede storica - i suoi
studi lasciano su Parri, oltre che su Carlo, una impronta profonda - e che
riallaccia il filo con la tradizione della sinistra risorgimentale,
mazziniana, garibaldina, anarchica, quella della propaganda del fatto,
quella per la quale il sacrificio personale diventa un dovere quando esso
serve a svegliare le coscienze, a propagare una fede, a tener viva e desta
una volonta' di lotta. La sua sconfitta ha lasciato aperto il problema
storico di una rigenerazione nazionale che abbia a protagoniste le classi
popolari.
Ma di qui non derivano ripiegamenti nazionalistici e neanche patriottici nel
senso tradizionale del termine. Partito da un'analisi del fascismo quale
fenomeno tipicamente italiano, sbocco di un processo di unificazione
nazionale compresso, mortificato e corrotto dal moderatismo, dal
trasformismo, dal giolittismo, egli e' il primo nell'antifascismo italiano,
tra i primi in quello europeo, a cogliere tutta l'importanza del fatto nuovo
costituito dall'avvento di Hitler che fa del fascismo nella sua nuova,
imponente e minacciosa dimensione il fattore necessariamente sconvolgente
dell'equilibrio internazionale. Tutta l'Europa libera, a questo punto, e'
chiamata a una prova che ha per posta la sopravvivenza della sua civilta'
quale l'hanno costruita il cristianesimo, il liberalismo, il socialismo.
Quei motivi si arricchiranno negli anni successivi con l'apporto dei
giellisti d'Italia.
A Giustizia e Liberta', prima rappresentanza unitaria della emigrazione
antifascista non comunista, aveva fatto capo nei primi anni Trenta tutta la
cospirazione democratica e socialista attiva in Italia. La costituzione di
Gl in movimento autonomo aveva provocato differenziazioni e divisioni che si
erano ripercosse anche tra i suoi fondatori. Ma di qui prende le mosse il
processo di formazione di nuovi gruppi, presenti nei maggiori centri
d'Italia, dove piu', dove meno direttamente influenzati dalla centrale
parigina, ciascuno portandovi proprie esperienze e proprie tradizioni: a
Torino sono gli echi dei consigli operai di Gramsci e della rivoluzione
liberale di Piero Gobetti; a Milano e' la tradizione risorgimentale
impersonata da uomini come Parri e Riccardo Bauer e il moderno liberalismo
di Ugo La Malfa, il giovane economista che conosce Keynes; nel Mezzogiorno
intorno al pugliesi Tommaso Fiore e Michele Cifarelli, all'avellinese Guido
Dorso, ai napoletani Pasquale Schiano e Francesco De Martino rinasce il
meridionalismo democratico.
Firenze, che coi Rosselli, con Salvemini, con
Rossi, con Calamandrei, di Gl era stata la culla, e' centro di un episodio
di grande interesse nella storia ideale e culturale del movimento: il
rapporto che si instaura tra il socialismo liberale di Rosselli e il
liberalsocialismo che ha in Guido Calogero e in Aldo Capitini i suoi teorici
e trova in Toscana le adesioni di Tristano Codignola, di Enzo Enriques
Agnoletti, di Carlo Ludovico Ragghianti di Mario Bracci, di Mario Delle
Piane. Lo stesso Codignola, che ne diventera' il rappresentante politico di
maggiore originalita' e di maggiore spicco, ha raccontato, ricostruendola
dall'interno con lucida intelligenza storica, l'avventura intellettuale e
politica del gruppo di giovani, maturati sotto il fascismo ma nel solco del
crocianesimo, e che per quella via pervennero all'antifascismo militante.
L'ultimo episodio di rilievo internazionale e' quello che ha per
protagonista il primo compagno di Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, veterano
della galera, deportato a Ventotene, che si associa a un ex-comunista,
Altiero Spinelli - finira' anche lui nel Partito d'Azione - per lanciare, in
collaborazione col socialista Eugenio Colorni il Manifesto che dall'isola ha
preso il nome "Per una Europa libera e unita", per una federazione europea
da costruire sulle rovine della guerra in corso.
Sara' opera loro la fondazione a Milano del Movimento federalista europeo, che sara' di fatto,
con la eccezione di Colorni, una articolazione del Partito d'Azione nella
Resistenza e un efficace strumento di collegamento tra i movimenti
europeistici fioriti, a partire dal '41, in tutta l'Europa occupata e nella
stessa Germania. In Francia e' un giellista, un amico di Rosselli, Silvio
Trentin a dar vita un gruppo di resistenza che ha per motto "Liberer et
federer".
E' necessario soffermarsi, anche se assai fugacemente e lacunosamente, su
Carlo Rosselli e sulla fase di formazione del Partito d'Azione perche' senza
di questo diventa impossibile spiegare il fenomeno - Calamandrei diceva "il
miracolo" - di Gl nella Resistenza e piu' ancora il fatto che il "giellismo"
sopravvive al Partito d'Azione, diventa anima di quel filone di cultura
storica e politica la cui vitalita' e' confermata dalla constatazione che
contro di esso e' ancora in atto, virulenta, l'offensiva ideologica dei
fondatori della "seconda repubblica".
Il Partito d'Azione immette questo patrimonio di pensieri e di azioni, tanto
ricco quanto composito, nel corpo vivo della Resistenza. Vi si trovano
uomini formatisi nella cospirazione, nella galera, nelle trincee di Spagna e
studiosi la cui vita si e' svolta nelle biblioteche e nelle accademie,
liberali alla Cavour e bolscevichi ravveduti, riformisti e rivoluzionari,
protestanti e cattolici: le loro biografie costituiscono la sintesi della
migliore storia d'Italia. Questo e' il dato da cui bisogna partire per
spiegare la singolarita' della vicenda dell'azionismo nella storia della
nostra repubblica.
L'operazione di innesto della tradizione giellista nel movimento
resistenziale ha il suo maggiore artefice in Ferruccio Parri.
Parri era stato con Rosselli l'organizzatore dell'evasione di Turati
dall'Italia. Il suo comportamento nell'impresa e di fronte alle persecuzioni
che ne erano seguite aveva profondamente impressionato Rosselli che con
l'enfasi in lui non rara, ma con sincera e commossa ammirazione, scriveva in
una pagina autobiografica di aver visto in Parri la reincarnazione, alta e
pura, dell'eroe mazziniano.
Parri non ha vocazioni libertarie, non sogna ardite sintesi delle diverse
esperienze di matrice socialista, non vagheggia unificazioni politiche a
base classista. Con la malinconica e sottilmente amara ironia che gli era
propria mi disse una volta: "Io sono un conservatore disperato perche' non
trovo molto che meriti di essere conservato".
Ma Parri e' l'interprete piu' fedele, piu' intransigente, piu' conseguente
della direttiva principale e centrale di Rosselli: la liberazione dal
fascismo deve essere opera del popolo italiano, deve coinvolgere le classi
popolari, deve portare a compimento quel processo di rigenerazione nazionale
rimasto incompiuto dal Risorgimento sabaudo-garibaldino. Quell'amor di
patria austero, pudico, ma granitico, che lo aveva portato all'interventismo
e che aveva fatto di lui uno degli eroi veri della prima guerra mondiale,
che lo aveva indotto a scendere in campo contro il fascismo, in nome, come
Matteotti, della dignita' nazionale offesa, e' il sentimento dominante nella
concezione che egli ha della funzione della Resistenza e dell'azione
militare e politica nella quale essa deve manifestarsi.
I suoi amici sanno, dalle ammissioni che a volte compaiono, si potrebbe dire traspaiono, nei
suoi scritti, dalle confessioni sommesse fatte a mezza voce, quanto strazio
questa scelta gli sia costata: al suo appello rispondevano giovani e
giovanissimi tanti dei quali andavano incontro a un destino ben piu' atroce
della morte in combattimento, al suo comando italiani combattevano non
soltanto contro l'invasore, ma anche contro italiani. Piu' volte il dubbio
lo attanaglio', ogni volta lo respinse, in solitudine.
Incarnazione dell'eroe mazziniano, simbolo di una unita' nazionale accolta
non come formula politica, ma come risposta storica a un imperativo etico,
egli apparve, percio', anche agli uomini, assai distanti tra loro che allora
gli furono vicini, a Luigi Longo e a Edgardo Sogno.
Confermato dai documenti e dalle testimonianze, emerge dagli studi dedicati
alla Resistenza giellista l'articolato quadro di un movimento organizzato e
diretto da un partito di freschissima costituzione e che pure e' il solo in
grado di emulare il Partito comunista sul terreno militare per efficienza e
audacia, di contendergli l'egemonia su quello etico-politico.
Va riconosciuto che a questo concorrono fattori di non secondaria
importanza. Le formazioni Gl costituiscono il nucleo piu' numeroso, piu'
combattivo e piu' compatto della Resistenza non comunista e c'e' chi
ipotizza il loro concorso al fine di fronteggiare i comunisti qualora essi
scendessero sul terreno rivoluzionario. Questo consente a Gl di accogliere
nelle proprie file uomini che appartengono ai ceti dirigenti inseriti in una
rete di efficienti ed efficaci solidarieta', quadri militari professionali -
il comandante della mia divisione e infine di tutta la zona Valtellina-Lario
era un tenente colonnello dei carabinieri, Edoardo Alessi, dichiaratamente
monarchico, caduto in combattimento alla immediata vigilia della
Liberazione - e di godere dei lanci di armi e viveri da parte degli Alleati,
generalmente negati alle formazioni comuniste.
Ma questo non basta a spiegare il fenomeno. La Resistenza giellista non ha
una dottrina che la cementi, non ha una ideologia radicata nelle masse ma e'
nel suo quadro dirigente pervasa da valori etico-politici di respiro
universale, che superano i limiti del patriottismo tradizionale e le
angustie di un acerbo classismo, che non hanno bisogno di propagande per
risultar veri perche' si saldano a esperienze e speranze di tutto un popolo,
ne esprimono le aspirazioni massicciamente diffuse alla pace, alla liberta',
alla giustizia, alla restaurazione della dignita' nazionale, alla conquista
di una solidarieta' permanente tra tutti i popoli d'Europa. Sotto la stessa
bandiera, nella breve stagione il cui autunno comincia gia' il 25 aprile,
possono cosi' militare accademici di altissima levatura di fede liberale
come Adolfo Omodeo e Guido De Ruggero e rivoluzionari professionali come Leo
Valiani, per lunghi anni comunista, passato per la galera, per la guerra di
Spagna, per il campo del Vernet, moderni illuministi, aperti alle piu'
audaci riforme - si troveranno parecchi di essi intorno al "Mondo" di Mario
Pannunzio - e intellettuali inquieti come Riccardo Lombardi, proveniente
dalla estrema sinistra cattolica, vicino nella cospirazione ai comunisti,
approdato a un suo originale socialismo, democratico e autonomistico, e
federalisti come Altiero Spinelli che conserva nella forma mentis e nel
temperamento i tratti del leninista che era stato...
Sono qui le ragioni della forza e della debolezza del Partito d'Azione, un
partito d'eccezione per tempi di eccezione. Protagonista nella guerra di
liberazione, esso va infatti in frantumi a un anno dall'insurrezione, dopo
aver dato all'Italia liberata il primo presidente del Consiglio. La sparuta
pattuglia dei suoi eletti alla Costituente riuscira' ancora, tuttavia, a
dare un contributo di straordinaria importanza alla elaborazione della carta
costituzionale e valga per tutti il nome di Piero Calamandrei, che della
Costituzione fu tra i maggiori artefici nell'aula di Montecitorio, il piu'
strenuo difensore dei suoi dettami nella battaglia politica e parlamentare,
il piu' appassionato divulgatore dei suoi principi nel paese.
La sconfitta del governo Parri e' un momento della piu' vasta sconfitta
delle avanguardie della Resistenza europea, e' il trionfo del realismo
politico delle grandi potenze e delle grandi formazioni politiche che ad
esse ideologicamente e politicamente fanno capo, quel realismo che regalera'
al mondo l'equilibrio della guerra fredda e delle contrapposizioni frontali
che spaccano la Resistenza all'interno dei maggiori paesi europei, in prima
linea Italia e Francia.
Il disegno di Parri della rigenerazione nazionale nel segno di una
rivoluzione democratica si scontra col composito fronte della conservazione,
sulla quale grava l'ipoteca della destra monarchica, clericale, neofascista,
massicciamente presente nel paese. Non avra' dalla sua parte le forze della
sinistra, egemonizzata e diretta da un partito comunista inserito senza
riserve in una strategia che ha a Mosca il suo centro e sulla quale minima,
se non pari a zero, e' la sua capacita' di intervento. La ricostruzione
sara' percio' anche restaurazione. L'integrazione europea, nel cui quadro
Parri collocava il suo disegno, partira' tardivamente e prendera' le mosse
da tutt'altri impulsi.
Il Partito d'Azione - e' la ragione della sua debolezza - non puo' in queste
circostanze sopravvivere senza snaturare se stesso. E cosi' esso si scioglie
in un congresso composto e commosso, in un clima di reciproca rispettosa
comprensione degli elementi di contraddittorieta' che ciascuna scelta ha in
se'. Non ci saranno strascichi penosi di risentimenti settari.
Il Partito d'Azione si dissolve, non si dissolve l'ethos politico che esso
ha incarnato e che ha costituito nella fase piu' tragica della storia
d'Italia il suo elemento di forza. Non e' un'espressione libresca e
tantomeno retorica, non e' uno scolastico ritorno alla metodologia crociana.
Nei grandi momenti storici, quando necessariamente intensa e' la
partecipazione collettiva agli eventi, quando le idee dei pionieri e dei
martiri trovano conferme nei fatti, sorgono e prendono consistenza movimenti
dove fermenti nuovi si concentrano, maturano, esprimono aspirazioni
largamente diffuse, che si compongono in principi e valori, che generano
culture, che ispirano norme etiche.
Nell'ambito della Resistenza la tradizione giellista diventa il luogo nel
quale questo fenomeno piu' compiutamene si esprime, perche' non gravato,
come accade ai socialisti, da ideologie ereditate, con tutto quello di
positivo ma anche di negativo che questo comporta, perche' non vincolato,
come accade ai comunisti, dalla ferrea disciplina che li lega,
ideologicamente e sentimentalmente, oltre che politicamente al partito-guida
e allo stato-guida e li fa strumenti di una strategia internazionale il cui
centro sta fuori e sopra di loro. E' per questo che l'antifascismo si
costituisce in autonomo sistema di principi e di valori intorno al nucleo
ideale della tradizione azionista, intesa in senso lato, che ingloba in se'
il filone di moderno socialismo che va da Matteotti, l'eroe di Rosselli, a
Colorni, che l'azionista Norberto Bobbio ha immesso nel circolo della
cultura filosofica e politica.
E' questa la linea di discrimine nei
confronti dell'antifascismo comunista: le conquiste di liberta' e di
giustizia non passano per la dittatura del proletariato; l'internazionalismo
non e' obbedienza passiva al partito-guida e al suo infallibile capo, e'
innanzitutto europeismo e non ha bisogno di uno stato-guida, il rapporto tra
cultura e politica e' dialettico scambio che non ammette dogmi e non tollera
direttive burocratiche di gerarchie partitiche.
A questo dato sono riconducibili certi tratti che caratterizzano i
comportamenti politici della diaspora azionista, al di la' della diversita'
delle scelte dei singoli militanti e dei gruppi.
Parri vota per l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, consapevolmente
andando incontro alla condanna, per lui dolorosa, della Resistenza
social-comunista, rompe l'unita' della organizzazione partigiana e fonda la
Fiap, in contrapposizione all'Anpi, per sottrarre al controllo del comunismo
di osservanza staliniana la tradizione antifascista e resistenziale e
preservarne cosi', come di fatto e' avvenuto, il potenziale unitario.
Riccardo Lombardi, di fresco entrato nel Partito socialista, si cimenta, con
l'appoggio di Alberto Jacometti, nella temeraria impresa di rovesciarne la
maggioranza frontista, sull'onda della volonta' di riscossa autonomista dopo
la sconfitta del 18 aprile. Fu un successo effimero, che pago' con anni di
isolamento: aveva avuto il torto di aver ragione prima del tempo.
Codignola e Calamandrei scelgono il versante socialdemocratico, trattati,
diceva Codignola, come meteci, gli stranieri nell'antica Grecia ai quali
veniva riconosciuta una cittadinanza dimezzata, la liberta' ma non i diritti
politici. "Il Ponte", la rivista fondata da Calamandrei, al suo fianco Enzo
Enriques Agnoletti, Codignola editore, e' la sola rivista italiana di
cultura politica che ha respiro europeo, che si sottrae all'egemonia
comunista e la contrasta con successo, che non fa dell'anticomunismo una
ideologia, che difende, con armi manovrate da un maestro del diritto
dell'altezza di Piero Calamandrei, tutte le liberta' dall'offensiva
preannunciata da Mario Scelba contro il "culturame" democratico, laico e
protestantico, in nome di un clericalismo rozzo e provinciale, esaltato dal
voto del 18 aprile.
Bobbio impegna coi comunisti un serrato dibattito, aperto allo scambio, ma
rigidamente intransigente nell'avversione alle dottrine e alle pratiche
dello stalinismo, immette autorevolmente nella cultura politica di sinistra
autori che socialisti e comunisti avevano ignorati, come Rodolfo Mondolfo e
Colorni.
Parri, tenace e infaticabile, facendo appello innanzitutto a storici, come
egli diceva, senza galloni, fonda l'Istituto per la storia del movimento di
Liberazione, costruisce la rete degli Istituti di storia della Resistenza.
Nella sua memoria era vivo il ricordo - fu lui a parlarmene - dell'apporto
che avevano dato le Societa' di Storia Patria alla creazione e alla
diffusione del mito che Benedetto Croce defini' "l'epopea
sabaudo-garibaldina" e al consolidamento, su di esso, del consenso alla
monarchia liberale. Con i suoi Istituti, Parri volle e seppe superare di
gran lunga il modello, per rigore di metodo, per efficienza organizzativa,
per impegno civile, sottraendo il patrimonio etico-politico della Resistenza
a strumentalizzazioni di parte, facendone al tempo stesso, senza forzature,
strumenti di enorme importanza ai fini della motivazione storica del mito
della Resistenza quale "secondo Risorgimento" e della formula della
Costituzione come "nata dalla Resistenza". Con gli scritti, con i discorsi,
con le epigrafi, Calamandrei si fa il grande propagandista di queste idee,
il poeta in prosa: quel che fu Carducci, ha notato Aldo Garosci, per il
Risorgimento.
Parlare degli azionisti dopo la fine del loro partito come degli "utili
idioti" del comunismo staliniano e' offesa che si reca non a loro ma alla
verita' della storia.
Quel che c'e' di vero e' che anche negli inverni piu' rigidi della guerra
fredda la loro opposizione al comunismo non concede mai nulla allo spirito
di crociata dell'anticomunismo professionale.
C'e', certamente, tra le componenti di questo atteggiamento un sentimento di
solidarieta' combattentistica nato e alimentato dalla conoscenza diretta
dell'eroismo di cui i comunisti hanno dato prova nella Resistenza.
Prevalente e determinante e' pero' la convinzione che il problema di fondo
di cui la Resistenza ha posto le premesse, ma non ha risolto, quello
ereditato dal Risorgimento di una rigenerazione d'Italia nel segno della
democrazia, esige l'apporto attivo delle forze che il comunismo rappresenta,
esige l'innesto nel patrimonio etico-politico della nazione, a conclusione
di un processo di revisione, di depurazione, di decantazione, dell'apporto
di idee, di valori, di sacrifici, della tradizione comunista italiana, da
Gramsci ai fratelli Cervi.
La storia della diaspora azionista e' assai frastagliata. E' storia
difficile da ricostruire, di gruppi non piu' collegati tra loro se non da
relazioni personali, di personaggi che scelgono collocazioni politiche
diverse o che abbandonano la politica militante: li ritroviamo questi - e
spesso vi eccellono per capacita' e per rigore - nelle universita', nelle
professioni, nella magistratura, tra i pochi grands commis degni di questo
titolo: ultimo esempio Carlo Azeglio Ciampi. Ma e' una presenza che non
viene mai meno e che riemerge nei momenti difficili lungo una linea di
continuita' che non si puo' attribuire al caso.
Nel '53 la pattuglia che aveva trovato ospitalita' nella socialdemocrazia ne
esce per ingaggiar dura battaglia - chiedo scusa ai politologi e ai politici
che hanno scoperto le virtu' del sistema maggioritario - contro la legge
elettorale passata alla storia come legge-truffa - e qui chiedo scusa agli
ideatori di essa, che furono mossi da una ragion politica i cui moventi
erano contestabili ma non truffaldini. Intorno a Tristano Codignola che
promosse l'operazione e a Ferruccio Parri si raduno', col concorso di molti
giovani, la diaspora azionista, ne nacque il movimento di "Unita' popolare"
col preciso e dichiarato intento di impedire lo scatto della legge, in
obbedienza a una questione di principio: il rispetto della volonta' popolare
quale espressa dalle urne, a una ragione politica opposta a quella della
maggioranza: evitare che si approfondisse il solco che aveva diviso il paese
nel 1948 e che si rinsaldasse la catena dell'assedio intorno alla sinistra
frontista. E quel gruppo dette un contributo quantitativamente modesto ma
elettoralmente determinante ai fini del rigetto della legge, stimolo' la
svolta autonomista del Partito socialista nel quale il movimento conflui'
dopo il congresso di Venezia. Riccardo Lombardi ebbe al suo fianco non pochi
di essi nel corso del dibattito politico e nel lavoro di elaborazione
programmatica che sfocio' in quel centro-sinistra che oggi appare come
circonfuso di un alone da ottobre rosso rispetto al centro-sinistra che
saremo chiamati a votare.
Fu l'antifascismo azionista - e' un punto questo che meriterebbe un'attenta
e metodologicamente difficile ricerca - che dette una sua forte impronta a
quella operazione di immissione tra le masse della tradizione antifascista e
di saldatura tra due generazioni, che ebbe il suo momento di maggiore
intensita' nel '60, nella lotta contro il governo Tambroni. L'ideologia
resistenziale comunista strumentalmente intrisa di elementi contraddittori
tenuti insieme dalla "boria di partito" ne ebbe la spinta a un processo di
decantazione, cui dialetticamente contribuirono anche le contestazioni di
sinistra, di cui Parri non condivise le ragioni ma intese e difese la ragion
d'essere.
La crisi del centro-sinistra - di cui fui quale direttore dell'"Avanti!"
leale sostenitore e non me ne pento - su uno sfondo che oggi appare assai
piu' torbido e minaccioso di quanto allora si potesse intuire, ripropone in
termini politici e non piu' etico-politici, il problema del rapporto coi
comunisti. Gli uomini dell'azionismo sono in prima fila.
Nel Partito socialista Riccardo Lombardi organizza la sua corrente di
opposizione nel segno dell'alternativa, a coronamento di una
riorganizzazione unitaria della sinistra. A conclusioni non dissimili
giungera', a suo tempo, anche Francesco De Martino, capo della maggioranza,
segretario del partito, che del centro-sinistra aveva fatto diretta
esperienza quale vicepresidente del consiglio e che giochera'
coraggiosamente e consapevolmente le sue fortune politiche sulla formula
degli "equilibri piu' avanzati", del coinvolgimento comunista nella
direzione politica del paese.
L'episodio di maggior rilievo, in questa nuova fase, e' legato, ancora una
volta, al nome di Ferruccio Parri.
Egli era stato il primo a prendere le distanze dalla politica nenniana per
passare alla opposizione aperta al centro-sinistra. Infaticabile e tenace
come sempre - "la mia sola qualita' e' la testardaggine", egli diceva -
Parri tesse la sua rete, lancia un appello alle forze disperse
dell'antifascismo, fonda una rivista, "L'Astrolabio", da' vita alla Sinistra
indipendente. L'interlocutore e' Enrico Berlinguer. I suoi candidati sono
eletti nelle liste del Partito comunista che accetta un consistente
sacrificio della propria rappresentanza parlamentare, accompagnandolo al
riconoscimento formale e sostanziale dell'autonomia politica della nuova
formazione.
La storia della Sinistra indipendente e dei suoi rapporti col Partito
comunista e' ancora da scrivere, nei suoi aspetti di collaborazione politica
e in quelli, meno visibili, di compenetrazione delle idee.
Ma non c'e' bisogno di ricerche per cogliere l'importanza che a questo
processo si collega anche l'azionista Altiero Spinelli, l'uomo di Ventotene,
confluito dopo lunga odissea - Ulisse era il suo eroe - nelle file della
Sinistra indipendente. Con la baldanza velata dall'ironia che lo
distingueva, ma che in questo caso non era ingiustificata, egli spiego' la
sua scelta dicendo che erano stati i comunisti ad andare a lui e non lui ai
comunisti. Il suo vanto era quello di aver convertito all'europeismo prima
De Gasperi, poi Nenni, infine Berlinguer.
I tramiti per l'ultima conquista erano stati Giorgio Amendola e Umberto Terracini. E in realta' e' da lui che
viene l'ultima spinta al processo di nazionalizzazione del partito
comunista, questa volta per la via maestra della sua europeizzazione. Sara'
lui ad accreditarlo e a legittimarlo in sede europea, promuovendo e guidando
nel parlamento di Strasburgo la grande battaglia per l'unione politica
d'Europa, facendo approvare, col voto di una maggioranza da lui costruita
pezzo per pezzo, con tutti gli strumenti disponibili, un progetto di
trattato in grado di dare sbocco politicamente e tecnicamente adeguato ad
una necessita' storica e ridotto poi dai governi d'Europa al rachitico e
asfittico mostriciattolo di Maastricht.
La scomparsa di Berlinguer, cui segue a breve distanza quella di Spinelli,
la defenestrazione di Natta, segnano l'inizio del malinconico declino
dell'ultimo tentativo di Parri.
Il nuovo gruppo dirigente del Partito comunista in via di metamorfosi, con
l'autolesionismo proprio degli ignari e degli ignavi, procede alla
liquidazione di una eredita' troppo pesante per le sue gracili spalle. La
formazione creata da Parri finisce nella fossa comune, senza neanche l'onore
di un necrologio.
L'operazione si colloca nel quadro del reaganismo e del tatcherismo
trionfanti e della offensiva ideologica ideata da Bettino Craxi e condotta
con grande rozzezza culturale ma con superiore intelligenza tattica.
Craxi precorre Occhetto, nella cancellazione della tradizione azionista,
isolando in un vigilato ghetto De Martino e Lombardi, espellendo Codignola e
Enriques Agnoletti, provocando il distacco dal suo partito di Vittorio Foa e
di chi vi parla, epurando la storia del partito socialista, fino a oscurare
Turati sotto la grande ombra di Garibaldi: il tutto nel segno di un
anticomunismo postumo che sembrava non avere piu' alcun senso nel momento in
cui i motivi della insidia comunista alla democrazia e della minaccia
sovietica al mondo libero erano ormai venuti a mancare. In realta',
l'obiettivo perseguito e conseguito e' quello di dare motivazione ideologica
al passaggio dalla repubblica nata dalla Resistenza a quella che ha ancora i
tratti di un identikit confuso e incompiuto, vagamente minaccioso.
Il ciclo storico apertosi con la prima guerra mondiale si e' chiuso, alla
storia appartiene ormai il problema di una storia d'Italia da correggere, di
un nuovo Risorgimento da conquistare che fu il denominatore comune
dell'interventismo, di quello nazionalistico, di quello democratico, di
quello rivoluzionario. La storia non risolve i problemi, ma neanche li
seppellisce e il circolo dialettico che essa perennemente instaura con la
politica e' inesauribile. Rosselli e Parri fanno rivivere nella nazione
l'eredita' di Mazzini. Tra i giovani di oggi ci sono quelli che intendono
restituire vitalita' e vigore ai valori dei quali Rosselli e Parri ci sono
stati maestri, che, come loro, per battersi non hanno bisogno della
sicurezza di vincere.
Credere nel successo e' un atto di fede. Risponde invece a una mia
convinzione politica profonda quella che, ove la tradizione di Matteotti e
di Rosselli fosse cancellata, avremmo una nuova barbarie, forse non
sanguinaria, ma capace, forse, con piu' forte radicalita' del fascismo, di
offendere e calpestare la dignita' umana.
Ogni processo storico contiene in se' sbocchi tendenzialmente diversi, ed e'
certo che il solo modo per rendere irrimediabile una sconfitta e' quello di
non dare battaglia, fingendo di non accorgersi o addirittura non
accorgendosi, come sta accadendo oggi alle rappresentanze ufficiali della
sinistra italiana, che una battaglia sia in corso.
Noi non siamo tra questi.
In questo spirito ho rievocato, soprattutto per i giovani, una storia della
quale sono stato partecipe e che si configura, nella mia non piu' giovane
fantasia, come una saga i cui eroi battono strade diverse, incontrano
avventure che rendono a volte assai lunghe le distanze tra loro, ma che
tutti restano fedeli al motto cui questa saga si intitola: Giustizia e
Liberta'.
Ho scritto all'inizio che non avrei parlato in veste di storico ma di
attore, tra gli ultimi in ordine di tempo e di importanza, di una nobile
storia. E cosi' e' stato.