Dal "Messaggero Veneto" in data 7 luglio
Tarvisio. Una medaglia d'oro al merito civile alla memoria per i 12 carabinieri tarvisiani trucidati nel 1944 a Malga Bala (oggi in Slovenia) dai partigiani di Tito, l'ha proposta il Comando generale dell'Arma alla Difesa che l'ha già inoltrata, per competenza, al ministero dell'Interno.
E' quanto si legge nella risposta a una interrogazione del senatore Filippo Berseli (Pdl), che al ministro La Russa, del suo stesso partito, chiedeva se non intendesse proporre al capo dello Stato la concessione della medaglia d'oro ai 12 carabinieri "barbaramente trucidati solo perché italiani".
L'eccidio di Malga Bala fu un atto di una ferocia inaudita. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1944 quelli che Berselli definisce "gli pseudo partigiani slavi" presero in ostaggio i carabinieri che erano di presidio alla centrale idroelettrica di Bretto, allora in territorio di Gorizia. I carabinieri vennero fatti vestire velocemente, mentre i partigiani si impossessavano delle armi e quant'altro di utile avessero potuto trovare nella caserma, poi minata con esplosivo, così come era stato fatto per la centrale idroelettrica.
Il commando partigiano e gli ostaggi, costretti a portare a spalla tutto il materiale trafugato dalla caserma, si incamminarono lungo un percorso tutto in salita, nel bosco per raggiungere a tappe forzate Malga Bala.
Il lungo tragitto venne intervallato da poche soste, di cui l'ultima la sera del 24 marzo, in una stalla sull'altopiano di Logje. Qui venne loro somministrato minestrone a cui erano stati proditoriamente aggiunti soda caustica e sale nero, usato per il bestiame perché ad elevato potere purgante. La mattina successiva venne fatto percorrere ai prigionieri l'ultimo tratto di strada che li separava dal luogo della mattanza, un casolare sito su un pianoro, Malga Bala appunto, dove: il comandante del distaccamento, vice brigadiere Perpignano, venne arpionato ad un calcagno con un uncino, appesa a testa in giù e costretto a vedere la fine dei propri dipendenti; verrà finito a pedate in testa. Gli altri militari vennero sterminati barbaramente, dopo essere stati incaprettati con filo di ferro. A un militare fu squarciato il petto e nella ferita vennero conficcate le foto dei figli.
La Procura militare di Padova, che nel 2002 ha riaperto il fascicolo della strage, ha individuato i presunti responsabili della strage. Si tratta di Franz Pregelj, un ex professore all'eopoca commissario politico del IX Corpus. Nel fascicolo ci sono anche i nomi di Aloiz Hrovat, che vive in Slovenia e di Silvio Gianfrante, uno dei partigiani gappisti che operavano lungo il confine tra Italia e ex Jugoslavia.
Dal settembre 1957, grazie all'opera del Comitato onoranze ai caduti nel comune di Tarvisio, che ha ultimato la costruzione del tempio ossiario all'interno della torre medioevale, attigua alla chiesa, riposano unitamente a 14 combattenti del XVII Settore delle Guardie alla frontiera e ai 5 militari tarvisiani, caduti in guerra 9 dei dodici carabinieri trucidati.
Per completezza dell'articolo questi sono i verbali della Commissione e del Senato dove sono riportate le interrogazioni del senatore Berselli.
Ma la questione sollevata dal Senatore Berselli è già datata, infatti nel numero di settembre - novembre 2002 nella rivista ACTA compare il seguente articolo a pagina 2:
I caduti del 22-23 marzo 1944 di Malga Bala nell'alto goriziano sono Carabinieri della R.S.I. (in grassetto nel teso originiale. N.d.R.), dall'8 dicembre 1943 Militi GNR a seguito del D.L. del Duce n. 913 (Gazzetta Ufficiale 5 giugno 1944 n. 131) ma rimasti a lungo come autonomi Comandi. In particolare se dislocati in Zone di Operazioni, come lo erano questi del caposaldo di Bretto, in forza alla Tenenza di Tarvisio che in RSI dipendeva dalla Legione con Comando a Padova, pur già immatricolati nel 621° Comando GNR di Udine dal 3 gennaio 1944 non più sotto Comando operativo tedesco per sevizio di frontiera o repressione di bande ribelli, ma del Rgt Tagliamento. Almeno 200 di detti Militi-Carabinieri concorrono al presidio di capisaldi del dispositivo difensivo di Cave del Predil sotto comando tedesco e poi italiano. In 20 a Bretto Inferiore, dopo ingannevole cattura, vengono seviziati e "incaprettati" da terroristi sloveni, uno dei quali percepisce ancor oggi a Tarvisio una pensione italiana di guerra.
Questa sono i fatti presentati in un contesto politico dove il revisionismo è la parola d'ordine delle destre che hanno vinto le elezioni. Ma vogliamo presentare di seguito il commento di una storica Claudia Cernigoj che ha sempre fatto ricerche storiche in queste zone.
Nell'ambito dei vari "crimini" attribuiti ai partigiani c'è anche la vicenda dell'eccidio di 12 carabinieri a Malga Bala, avvenuto nel marzo del 1944. I carabinieri, comandati dal vice brigadiere Dino Perpignano, erano di stanza al presidio di difesa della centrale idroelettrica di Bretto. Lo pseudostorico Marco Pirina, riprendendo quanto scritto da Antonio Russo in una sua pubblicazione del 1993 ("Alle porte dell'inferno"), così descrive la vicenda.
"Il 23 marzo era l'anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, una festa odiata dai partigiani operanti nella zona di Plezzo (festa amata invece dai partigiani di altre zone? n.d.r.). Si decise di colpire gli italiani. Per l'occasione si radunarono Fran Ursig "Josko", il capo supremo della Brg. Partigiana dell'alto Isonzo, Ivan Likar "Socian", Silvio Giafrate, Fran Della Bianca, Anton Mlecuz (riportiamo i nomi con la grafia errata così come appaiono, n.d.r.) ed altri, in totale 21 uomini. Questi studiarono un piano approfittando delle abitudini del Comandante Perpignano e quando questi ed il Franzan (un altro carabiniere del presidio, n.d.r.) tornavano assieme ad una ragazza li circondarono e li fecero prigionieri. In gruppo si avvicinarono con il Perpignano alla caserma, si fecero aprire (…) catturarono tutti i carabinieri (…) saccheggiata la caserma e costretti i carabinieri a caricarsi vettovaglie e vari sacchi di ogni ben di Dio, dopo aver sistemato due cariche sotto le turbine, si avviarono verso il monte (…)". Il giorno dopo "si decise la loro eliminazione, ma questa secondo tutti doveva essere particolarmente crudele" e qui Pirina (sempre citando Russo) si lancia nella descrizione della preparazione di un "pastone miscelato con soda caustica e sale nero", sul quale "i carabinieri si avventarono" e "dopo aver mangiato" le "urla e le implorazioni furono tremende". Come se ciò non bastasse, all'alba del giorno dopo, "furono fatti marciare per ore sino alla Malga Bala, dove furono di nuovo rinchiusi" ed a questo punto partono le descrizioni delle sevizie con cui i "partigiani" avrebbero ucciso i carabinieri: a Perpignano "venne conficcato un legno ad uncino nel nervo posteriore dietro il calcagno ed issato a testa in giù legato ad una trave, poi furono accapprettati tutti gli altri e a quel punto i partigiani cominciarono a colpire tutti con i picconi. A qualcuno vennero asportati i genitali e conficcati in bocca, a qualcuno aperto a picconate il cuore o frantumati gli occhi (…) alla fine legati i corpi dei malcapitati con del fil di ferro li trascinavano sotto un grosso masso tra la neve (…)".
Come al solito, quando ci troviamo di fronte a certe descrizioni così particolareggiate di efferate torture, il primo interrogativo che ci poniamo è questo: chi sarebbe il testimone che assistette a tutto questo in modo da poterlo raccontare? Se leggiamo il testo di Russo che Pirina ha riassunto, troviamo anche riportati un paio di articoli dell'epoca: ad esempio Il "Gazzettino" di Padova così scriveva il 7 aprile 1944.
"Macabra scoperta in una grotta di dodici vittime del dovere (…) in questi giorni dei camerati in armi, in una grotta fra Cave del Predil e Bretto di Mezzo hanno fatto una triste e macabra scoperta. In detta caverna infatti essi hanno rinvenuto, accatastati l'uno sull'altro, i cadaveri di dodici militi della polizia repubblicana, morti nell'adempimento del loro dovere. Le vittime sono state identificate per quelle del vicebrigadiere Nino (sic) Perpignano e dei militi (segue l'elenco dei nomi, n.d.r.). Ai poveri scomparsi sono state tributate imponenti esequie".
Dunque al momento della scoperta dei corpi di Perpignano e dei suoi uomini, la stampa non parlò di sevizie cui essi sarebbero stati sottoposti. È vero che Russo cita anche un altro articolo (senza specificare da dove l'abbia tratto) che parla di "vittime denudate poi uccise bestialmente a colpi di piccone", ma il resto dei particolari descritti da Russo e ripresi da Pirina non compaiono. Russo accenna al fatto che "tanti" gli avrebbero "confessato tra le lacrime" che era giunto il momento "di far sapere a tutti la verità su Bala", ma il nome di questi "testimoni" non viene fatto. Chi dunque sapeva tutti questi particolari sulla fine dei carabinieri, e quando li avrebbe resi noti?
Un altro particolare interessante è che il Gazzettino parla di "militi della polizia repubblicana", non di Carabinieri. In effetti, leggendo attentamente il testo di Russo (brani che Pirina non riporta, detto per inciso), si apprende che "il responsabile della produzione mineraria, Otto Hempel, ingegnere militarizzato tedesco (…) verso la metà di gennaio di quel '44 chiede e ottiene dal comando generale SS di Camporosso l'autorizzazione a istituire un raggruppamento di carabinieri a difesa stabile della centrale idroelettrica di Bretto di Sotto". Bisogna spiegare che la centrale idroelettrica di Bretto serviva soprattutto per far funzionare la miniera di Cave del Predil, dalla quale si estraeva piombo, elemento fondamentale per l'approvvigionamento dell'esercito germanico.
Prosegue Russo "viene così deciso di chiudere per sempre la caserma dei carabinieri di Bretto di Mezzo (…) e viene istituito il distaccamento di 16 militari più un sottufficiale (…)" che "il 28 gennaio 1944 prendono servizio presso la nuova casermetta, secondo le direttive del comando tedesco". Quindi il gruppo di carabinieri agli ordini di Perpignano stava, sostanzialmente, agli ordini dei nazisti a fare la guardia ad un obiettivo militare strategico.
Detto questo si può comprendere come l'attacco dei partigiani alla centrale di Bretto non sia stato determinato dall'"odio" per la ricorrenza dei fasci di combattimento, come pretendono Russo e Pirina, quanto per compiere un'importante azione di sabotaggio contro l'occupatore nazista.
A questo punto prendiamo in mano un altro testo, quello di Franc Cnugelj ("Na zahodnih mejah 1944", curiosamente pubblicato anch'esso nel 1993, come il libro di Russo, non tradotto in italiano), che spiega cosa accadde a Cave del Predil il 23 marzo del 1944.
Il gruppo coordinato da Jožko (Franc Ursic, che non era "capo supremo", qualifica che non esisteva nell'esercito di liberazione popolare, ma comandante di distaccamento), dopo avere sorvegliato per alcuni giorni i movimenti di Perpignano, lo catturarono in una casa dove si era recato a mangiare, lo portarono fino alla centrale, dove, effettivamente, si servirono di lui per farsi aprire con la parola d'ordine, sabotarono la centrale elettrica, prelevarono armi e munizioni e si diedero alla ritirata verso i monti, portando con sé i prigionieri.
Ma nel frattempo i nazisti non erano stati certo a non fare nulla, come pretenderebbe invece Russo (che ha il coraggio di scrivere che "i partigiani, conoscendo bene le abitudini dei tedeschi i quali non amavano muoversi di notte, non si preoccupavano minimamente"): avvisati telefonicamente, si diedero all'inseguimento degli attentatori: quando i tedeschi furono in vista, i carabinieri prigionieri cercarono di darsi alla fuga ed a quel punto iniziarono le sparatorie: i nazisti contro i partigiani, i partigiani contro i prigionieri in fuga e contro i nazisti. Così scrive ?rnugelj "i tedeschi spararono contro la colonna partigiana, nella quale si trovavano anche i prigionieri".
A parere nostro, questa versione dei fatti è molto più credibile di quella diffusa da Russo e Pirina, innanzitutto perché bisogna considerare che l'esercito partigiano non faceva la guerra perché i suoi uomini si divertivano a martirizzare i nemici, ma perché volevano sconfiggere il nazifascismo. Era quindi loro interesse compiere atti di sabotaggio contro il nemico (come l'attentato alla centrale idroelettrica per bloccare la produzione della miniera di Cave del Predil), ed una volta compiuta l'azione, non è minimamente credibile che essi si siano trattenuti per due giorni nei paraggi a rischio di farsi catturare dai nazisti, solo per dare sfogo a degli istinti sadici e torturare fino alla morte i dodici prigionieri. In zona di combattimento, nessuna formazione guerrigliera con un minimo di buon senso e di istinto di sopravvivenza si trattiene con dei prigionieri a portata di mano del nemico: credere una cosa del genere vuol dire non avere la più pallida idea di cosa significhi combattere la guerra di guerriglia, cioè colpire il nemico con azioni rapide e repentine e ritirarsi prima possibile in zona sicura.
Abbiamo quindi due versioni dei fatti, una (a parer nostro, logicamente) credibile ed una no. Di fronte a queste contraddizioni, chiediamo pubblicamente ai ricercatori storici, ma anche alla stessa Arma dei Carabinieri, che nel proprio sito avalla la versione dei fatti di Russo, di voler analizzare la vicenda a fondo prima di decidere che la versione di Russo è quella veritiera, e di voler quindi sospendere, nel ricordo dei dodici caduti, ogni riferimento a circostanze non dimostrate storicamente che rischiano di conseguenza a dare luogo a strumentalizzazioni di parte.
Febbraio 2007