saverio Ferrari - redazione Osservatorio Democratico - 14/02/2007
“Il mio primo reclutatore fu il capitano David Carret della marina militare degli Stati Uniti […] Intorno al 1974 il capitano Carret fu sostituito dal capitano Richards che io incontravo normalmente sotto la torre di San Marco, come del resto il capitano Carret […] Il capitano Richards mi disse di essere in servizio presso la base Nato di Vicenza, mentre Carret era in servizio presso la base Nato di Verona. Era stato Carret a insegnarmi come si eseguono i pedinamenti con esercitazioni per strada utilizzando degli estranei sia a Verona che a Venezia.”
Emerse così, solo qualche anno fa, con queste parole sottoscritte in un verbale di interrogatorio da Carlo Digilio, l’ex armiere di Ordine nuovo, il 21 dicembre 1995, nell’ambito delle indagini sulla strage di piazza Fontana, l’esistenza di una rete illegale statunitense operante sul nostro territori e facente capo alla basi Nato del Veneto.
Una struttura che non si limitò a svolgere “un’attività di sola osservazione”, come scrisse il giudice istruttore Guido Salvini, ma “anche di consulenza tecnica, e quindi propulsiva, in quasi tutti gli attentati dal 1969 in poi, dagli attentati ai treni all’attentato all’Ufficio istruzione di Milano, sino agli eventi più gravi e cioè la strage di piazza Fontana, la strage dinanzi alla Questura di Milano e verosimilmente la strage di piazza della Loggia a Brescia”.
Riguardo alle bombe del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, Carlo Digilio raccontò in particolare agli inquirenti di aver informato in anticipo il capitano Carret. “Pochissimi giorni prima degli attentati” – questa la sua deposizione – “ebbi un incontro con il capitano Carret dinanzi al Palazzo Ducale […] Io riferii a Carret quanto mi aveva detto Maggi [il “reggente” di Ordine nuovo nel Triveneto, n.d.r.], facendone anche il nome, e percepii che la struttura di Carret aveva già le antenne alzate e si aspettava qualcosa e del resto Carret stesso mi confermò che sapeva benissimo che la destra in quel periodo stava preparando qualcosa di grosso nella direzione di una presa di potere da parte delle forze militari.”
In una successiva riunione, nei giorni prossimi all’Epifania del 1970, quando Digilio relazionò su Delfo Zorzi e i micidiali ordigni che aveva visto prima del loro utilizzo a Milano, si sentì rispondere che l’Italia era ormai avviata “su un sentiero di spine”, ma di tranquillizzarsi, che “nonostante la reazione delle sinistre, l’ambiente di Ordine nuovo non sarebbe stato toccato dalle indagini”.
La rete statunitense di cui stiamo parlando, certamente attiva sin dal primo dopoguerra, reclutò nel Veneto ex repubblichini, come Sergio Minetto, già alto ufficiale della X Mas poi negli “Elmetti d’acciaio”, un’organizzazione di ex militari tedeschi, e Lino Franco, arruolatosi volontario nella Wermacth, fondatore dell’associazione segreta “Sigfried”, ma anche ex ufficiali nazisti. Tra gli altri, il maggiore delle Ss Karl Hass, condannato all’ergastolo insieme a Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine.
Karl Hass, dopo aver lavorato a Verona per il Comando dei servizi di sicurezza tedeschi, fu assoldato dal Cic (Counter intelligence corp), una delle strutture di controspionaggio dell’esercito americano, ed utilizzato già nel 1948, quando in previsione della possibile vittoria del fronte delle sinistre, venne incaricato di tenere i rapporti con i gruppi neofascisti romani al fine di concordare un eventuale piano di occupazione degli edifici pubblici e del trasmettitore radio di Monte Mario.
Le armi e gli esplosivi arrivarono a Ordine nuovo negli anni Sessanta e Settanta proprio grazie agli ex repubblichini, che trasferirono all’organizzazione fondata da Pino Rauti i vecchi arsenali occultati al tempo del conflitto. Nello specifico si riscontrò il passaggio di un grosso quantitativo di armi, nascosto dal gruppo di Lino Franco sul pianoro del Pian del Consiglio, in provincia di Belluno.
Dal canto suo la struttura allestita dagli Stati Uniti foraggiava direttamente i dirigenti di Ordine nuovo. “Il compenso che il capitano Carret mi dava” – testimoniò Carlo Digilio – “che era in lire italiane e che teneva conto delle eventuali spese di spostamenti […] non era fisso, ma comunque si aggirava sulle 300.000 che ricevevo ogni mese; all’epoca si trattava di una somma discreta. Soffiati [il capo della cellula veronese di On, n.d.r.] veniva invece pagato in dollari e la somma era un po’ superiore alla mia, circa 400 dollari […] Io facevo parte di un settore informativo, mentre Soffiati di un settore operativo che comportava un coinvolgimento e rischi maggiori”.
Tornando al capitano Teddy Richards, in forza per un lungo periodo presso la base Setaf di Vicenza, particolarmente illuminante è risultata la ricostruzione di un vecchio episodio risalente al 1966. Nel maggio di quell’anno, a seguito di un’indagine della squadra mobile di Verona, partita casualmente dopo una rapina, vennero arrestati per detenzione di armi ed esplosivi Roberto Besutti ed Elio Massagrande. Furono denunciati anche Marcello Soffiati e Marco Morin. Tutti di Ordine nuovo.
Nelle abitazioni di Besutti e Massagrande fu rinvenuto un vero e proprio arsenale: decine di pistole e fucili, detonatori di vario tipo, ben 173 saponette di tritolo, barattoli di esplosivo, micce detonanti, mine antiuomo e bombe a mano. Inspiegabilmente rilasciati dopo pochissimi giorni confessarono di aver avuto gran parte del materiale da Teddy Richards, all’epoca in servizio presso la caserma Passalacqua di Verona. Il procedimento proseguì in modo alquanto singolare. L’ufficiale degli Stati Uniti non fu in alcun modo incriminato, né da parte delle autorità americane né da quelle italiane, mentre i quattro ordinovisti furono condannati dalla Pretura di Verona a pene irrisorie (da uno a tre mesi di arresto), accogliendo la assai ardita tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di un “gruppo di collezionisti”, evidentemente anche di esplosivi (!).
Quando, anni dopo, il giudice istruttore di Venezia, Felice Casson, nell’ambito degli approfondimenti relativi alla strage di Peteano (si procedeva anche nei confronti di Marco Morin, autore della manipolazione di una perizia), cercò di acquisire il fascicolo processuale, scoprì che era inspiegabilmente scomparso. Solo quello tra migliaia. Carlo Digilio sostenne che era stato Teddy Richards a “far sparire il fascicolo processuale dal Tribunale di Verona”. Un’inquietante storia di armi, dollari e progetti eversivi. Inutile dire che tutti i tentativi della magistratura italiana di poter anche solo ascoltare, tramite rogatoria, David Carret e Teddy Richards, nelle lunghe indagini sulla strage di piazza Fontana, caddero nel vuoto. Gli Stati Uniti, come sempre, negarono ogni collaborazione.