di Claudio Sommaruga
Tutto cominciò il 13 ottobre 1943 con la dichiarazione di guerra del Regno d'Italia al Terzo Reich, quando il Maresciallo Graziani, per creare le quattro divisioni della RSI, intimò agli sbandati del Regio Esercito non rastrellati dai tedeschi, di presentarsi ai Distretti. Con un altro bando, il 9 novembre, chiamò alle armi le classi dal '23 al '26, con pena di morte a disertori e renitenti, commutabile in dieci anni di carcere e minacce alle famiglie. Ma i rei erano troppi, meglio condannarli ai lavori forzati per la Whermacht!
Mussolini contava per l'esercito di Salò su almeno 50.000 optanti degli oltre 700.000 IMI inizialmente nei Lager tedeschi ma che considerava suoi soldati a disposizione anche se non collaborativi: a stento ne racimolò 12.000 per le divisioni di Graziani, 500 per la GNR, 1000 per le altre FF.AA della RSI e di 5.500 ufficiali della riserva messi a disposizione e restituiti alla vita civile perché in esubero. Altri 23.000 IMI avevano optato in precedenza per Hitler, arruolandosi nelle Waffen SS allogene, per lo più nella 27 Div. Granadier "Italien" e ai quali, considerati stranieri (!), fu vietato di iscriversi al partito (PRF)!
Dal canto suo Graziani contava su 180.000 reclute, ma se ne presentarono solo 87.000, 10.000 delle quali disertarono in pochi giorni! I renitenti e i disertori che non si imboscarono o espatriarono in Svizzera, alimentarono robustamente le formazioni partigiane, ma oltre 2000 militari del Regio Esercito e oltre 3000 coscritti di Graziani, che tardarono qualche mese a presentarsi ai Distretti, non furono giustiziati come previsto, ma "coatti" in battaglioni di rigore (Straf-Btl), nominalmente in forza alla RSI ma sotto comando Whermacht tanto in Italia che in Germania e tenuti separati sia dagli IMI che dai KGF.
Riassumiamo tre testimonianze significative tra le rarissime rilasciate dai ritardatari, coscritti e militari, dei "bandi Graziani". (1)
Pier Luigi Facchin (2) - Classe 1924, veronese, allevato alla scuola fascista degli anni '30, Facchin, alla chiamata di leva, Facchin aveva già dei precedenti che pesarono sulle sue scelte. Orfano di guerra, militesente e figlio unico di madre vedova, profondamente cattolico (ostentava il distintivo proibito della Gioventù Cattolica) svolse l' iter obbligato del giovane fascista, da balilla al GUF e alla corale alpina della Milizia Universitaria, ma con arresti domenicali in cella della GIL (!), quindicenne, per rifiuto del premilitare e delle esercitazioni dei Giovani Fascisti..
Dopo l' 8 settembre 1943, ignora la "cartolina rosa" ed elude per quattro mesi il "bando Graziani", ricercato dai carabinieri e mimetizzatosi come operaio nell' Arsenale di Verona. Catturato e rinchiuso in cella, evade dopo un bombardamento; ma viene ripreso è assegnato, il 12 febbraio 1944, al 136° Btl di rigore del Genio Lavoratori, sotto comando tedesco, con ufficiali subalterni della RSI e per recapito postale la Feldpost tedesca 38733/A (poi 80979). Elude il tradizionale "lo giuro!" delle reclute col tradizionale burlesco "l'ho duro!", ma che per lui non è uno scherzo ma l'alibi del rifiuto.
Poi viene avviato nell' Appennino Centrale, sulla linea ferroviaria di Orvieto "con tanta fatica e poco pane crucco - annota nel suo memoriale - un cubetto di margarina e pasta scotta". L' Italia non era terra di Kartoffel ! Dal 14 settembre è ricoverato, deperito, all' Ospedale Militare di Perugia. A fine anno, come del resto ai compagni deportati in Germania, gli consegneranno i "gladi" da mettere al bavero, previo giuramento, ma lui li metterà in tasca e continuerà a fregiarsi delle stellette badogliane. A fine guerra, per onestà, rifiuterà di infilarsi nei partigiani dell'ultima ora!
Nel dopoguerra, i renitenti di leva del Nord, considerati a torto repubblichini e privi di addestramento militare, vedranno cancellata la loro dura esperienza e molti dovranno effettuare un nuovo servizio militare "rieducativo": una disposizione discutibile che ricorda i "5 giorni" di arresti, al rimpatrio, anche degli ufficiali antifascisti POW degli Alleati e non cooperatori per coerenza coi regolamenti di non collaborazione dei prigionieri non liberati col nemico che li ha disarmati,! Ma Facchin, benché militesente, riesce difficoltosamente e per sette anni ad evitare la nuova naia fino al congedo, nel 1952, dopo essere stato confuso dalla burocrazia coi "ragazzi di Salò"! Anche lui, come i reduci degli IMI, proverà la delusione profonda dell'incomprensione degli italiani e questo spiega la sua rimozione cinquantennale della "deportazione in patria" finché, ispettore della Pubblica Istruzione e ottimo scrittore deciderà di uscire dal riserbo pubblicando il primo memoriale di un ritardatario della "leva Graziani" perché i giovani italiani devono sapere!
Lucio Pascalino (3) - Solo nel 2006, il "ribelle" Pascalino (come ama definirsi) esce dalla rimozione e affida la sua esperienza di ritardatario della "leva Graziani" a un memoriale scritto a caldo, nel '45, ottimo anche dal punto di vista letterario.
Classe 1924, figlio di un invalido di guerra antifascista, nato a Napoli ma milanese dall'infanzia, la sua è una vita da ribelle. A 16 anni è operaio ai laminatoi della Falk; fervente cattolico e giovane antifascista sfuggirà all' iscrizione obbligatoria dai Balilla al GUF e riuscirà a frequentare l' Accademia di Brera con vocazione di pittore. Nel '43, subirà lo shock della sua casa milanese distrutta da un bombardamento aereo; nel '44-'45 si svolgerà la sua deportazione in Germania culminata con un'evasione, una delle pochissime riuscte agli IMI. Nel dopoguerra consegue due lauree, in lettere (nel '48) e in filosofia (nel '60) e un Diploma in Paleografia Latina e Archivista, poi insegnerà Storia negli Istituti Superiori. Questo, in sintesi, il personaggio.
Anche lui, come Facchin, dopo il bando Graziani si rifugia renitente in clandestinità e dopo un tentativo fallito di espatrio in Svizzera e il susseguirsi di esecuzioni nazifasciste di disertori, renitenti e partigiani e nel timore di rappresaglie alla famiglia, si costituirà al Distretto di Milano dove viene arrestato. Poi viene inquadrato in un reparto del Genio Telegrafisti, a Cremona; sotto comando Whermacht, con ufficiali repubblichini e dove indosserà la divisa grigioverde del Regio Esercito ma coi "gladi". Ma a differenza del caso Facchin, al quale avevano imposto in dispregio le stellette badogliane, furono Pascalino e i compagni a rifiutare i gladi come un insulto e a richiedere le stellette: furono facilmente accontentati, perché nel frattempo i repubblichini avevano stabilito (vedi sopra, testimonianza di Facchin) di imporre in dispregio, a tutti i renitenti, le "stellette" badogliane in sostituzione dei "gladi", perché indegni di fregiarsene!
Poi Pascalino si ammala e viene operato all'Ospedale Civile. Rientrato a metà aprile al reparto, a Cremona, il 27 maggio si sposta a Borgotaro, a piantare pali del telegrafo (non senza boicottaggi!) e dove sarà testimone di una strage nazista, con una ventina di civili morti e una moltitudine di feriti soccorsi dal suo reparto. Poi i tedeschi cedono alla reazione dei partigiani e il reparto si trasferisce a Villafranca in Lunigiana. Si susseguono gli alarmi, il paese è circondato dalle SS, col divieto ai nostri prigionieri di muoversi, pena la morte. Poi i tedeschi li spogliano dalle giubbe e li trasferiscono a Marinella di Sarzana dove sono strettamente sorvegliati per giorni mentre si susseguono scontri a fuoco e reazioni alterne dei partigiani e dei tedeschi, con morti civili. Ricondotti a Cremona, il 24 giugno vengono stipati in carri bestiame piombati, con scorta armata... Verona... le Alpi... Zwickau... per finire al Lager di Heydebrech coatti ai lavori forzati, a caricare e scaricare sabbia, ghiaia, mattonelle di carbone, lamiere, controllati da poliziotti tedeschi e kapò mongoli. A metà agosto compaiono i compratori di schiavi della Klein & Co. che se ne prendono 50 compreso Pascalino, che poi vengono trasferiti a Scwarzheide per carica-scarica presso la "BRABAG", produttrice di benzina sintetica da lignite e torba.
La seconda parte del memoriale di Pascalino descrive minuziosamente l'evasione con un compagno, il 4 aprile 1945 durante un bombardamento aereo di Fährbrucke e il rimpatrio avventuroso a Milano, il 14 aprile. Una delle rarissime evasioni riuscite di IMI.
Il 4° Alpini (Aosta) della RSI (4) - Nella Caserma Testafochi di Aosta, del 4° Regg. Alpini della RSI, erano stati radunati, dopo il bando Graziani, 2000 alpini sbandati dopo l'8 settembre. Tra questi un gruppo di AUC del LXII Btg Alpini in Merano, tra i quali A. Sulfaro (classe '22) che testimoniò il suo caso vrso 2000, all' ANRP. Nella sua testimonianza non risultano la data e le circostanze di arruolamento nel 4° Alpini della RSI, e a che titolo (volontario, ritardatario, renitente rastrellato).
Ma il 4 giugno la caserma viene improvvisamente occupata dalle SS allogene italiane, secondo la prassi e poi consegnati a Chivasso alle SS tedesche che schederanno nel campo di smistamento della Bicocca (Milano) il Sulfaro con piastrina e il n. 805. Pochi giorni dopo verranno deportati in Germania in trasporto chiuso e dove rifiuteranno in massa di optare e verranno impiegati nei Bau-Btl al seguito della Whermacht ma distinti dagli IMI.
Ma nella tappa a Chiasso, della tradotta per la Germania, Sulfaro e una dozzina di prigionieri trovati in possesso di armi avrebbero dovuto essere fucilati, secondo la prassi, ma l'esecuzione fu sospesa per un allarme aereo. Nel transito a Lonato, il Sulfaro con altri sei alpini evade, come diritto-dovere dei prigionieri! Si ignora il seguito.
Un'altro reduce "ritardatario" mi confermò (telefonata non registrata) che anche al suo battaglione-lavoratori, deportato in Germania con le stellette, alla fine del '44, furono proposti i "gladi" repubblichini previa una firma di adesione. Parecchi aderirono per fame ma si tennero preziosamente le stellette in tasca e con le quali rimpatriarono infiltrandosi negli IMI nascondendo la loro forzata collaborazione.
Conclusioni - L'on. Luciano Violante, nel suo discorso di insediamento a Presidente della Camera, nel 1996, aveva sollevato non senza discussioni l'opportunità di una discriminazione e della comprensione di molti "ragazzi di Salò" non volontari ma, arruolati d'obbligo. In altre parole: non tutti i "ragazzi di Salò" sono "ragazzi di Salò"! E coi "sottosoldati deportati" andrebbero discriminati moralmente anche quei ragazzi di Salò coscritti non volontari ma accondiscendenti obbligati della "leva Graziani".
I "sottosoldati" e "deportati in patria", come Facchin e Pascalino, hanno posto finalmente un tassello nel puzzle della storia della Resistenza, trascurata e di sempre più difficile ricostruzione per la scarsità delle testimonianze scritte e dei reduci viventi, ma da approfondire anche negli archivi militari della RSI depositati nell'Archivio di Stato: i numeri dei battaglioni di disciplina e la loro forza e le dislocazioni.
Una storia nascosta che sollecita una riabilitazione di questi "badogliani" fuori statistica, da considerare "IMI onorari" da distinguere dai "ragazzi di Salò" in cui vengono confusi.
Referenze bibliografiche principali
1) Claudio Sommaruga,"Deportati in patria",in "Rassegna" ANRP, Roma, n 6-8, giugno-agosto 2004, pag. 19.
2) Pier Luigi Facchin, "Sottosoldato" (Deportato in patria), ed. Bressea, Brescia 1995, pp 93. Recensione di C. Sommaruga in ANEI , "Noi dei Lager", Roma, 1996).
3) Lucio Pascalino, "Eroe no, ma ribelle", Cooperativa Edificatrice "Ferruccio Degradi", Milano, 2006, pp 197, (prefazione di C. Sommaruga)
4) Dossier "A. Sulfaro" in Archivio ANRP, Roma, 2000 e scheda in ARCHIVIO IMI (di C. Sommaruga), Milano.