Renato Romagnoli narra minuziosamente le fasi dello scontro fra partigiani e forze tedesche e italiane fasciste che è passato alla storia come Battaglia della Bolognina.
Il racconto è svolto in terza persona, ma l'Autore è il partigiano "Italiano", uno dei protagonisti principali.
La narrazione è viva, rapida, rinuncia a ogni spiegazione che risulterebbe superflua o che trasformerebbe la scrittura in una forma letteraria altra, per trascinare il lettore nel ritmo incanzante del volgere degli eventi, ponendolo in uno stato di tensione che non lo lascia fino alla fine. Una fine che non consiste nella semplice conclusione dello scontro, con la conta dei caduti e dei superstiti, ma che non può che coincidere con la liberazione della città, in un bilancio finale che coinvolge una comunità ben più vasta di quella dei combattenti del 15 novembre 1944.
La scelta del tema, la Battaglia della Bolognina, corrisponde alla precisa volontà di comunicare una particolare condizione aspramente attraversata tanto dai singoli combattenti antifascisti come dalla Resistenza nel suo complesso.
Tra i numerosi episodi che ha vissuto, anche più clamorosi, l'Autore ha voluto porre l'accento su una situazione particolarmente difficile. L'Autore stesso, quale protagonista eroico - usiamo questo termine con qualche titubanza dovuta al carico retorico che di norma lo accompagna, ma in questo caso di tanto si tratta della Resistenza bolognese, ha già in passato e in diverse occasioni, libri, testimonianze, interventi, raccontato diversi fatti d'arme e diversi aspetti della guerra di liberazione. In questa occasione, con una forma narrativa diretta e incalzante, ha scelto di rappresentare il dissidio lacerante tra azione rapida, tra l'agire repentino e l'attesa snervante, tipico della guerriglia ma tanto più caratterizzante le tragiche settimane che hanno preceduto e seguito l'episodio narrato.
La Battaglia della Bolognina si svolge nella stagione in cui le forze partigiane del bolognese sono state concentrate in città nella prospettiva insurrezionale aperta dall'avanzata alleata, dopo la liberazione di Roma il 4 giugno 1944, e la città di Firenze, fino ai primi contrafforti appenninici. Con questa, nel corso della primavera e dell'estate, aveva coinciso un aumentato, in talune aree pressochè unanime, consenso alla Resistenza e un grande afflusso di giovani nella militanza antifascista e nelle file partigiane, sollecitati, in tale scelta, anche da un nuovo bando di chiamate alle armi esteso al primo semestre della classe 1926. Le chiamate alle armi del governo fascista collaborazionista costringevano tutti gli uomini dai diciotto anni di età in su a scegliere se servire per una guerra ingiusta e per sostenere un regime odioso o se passare alla condizione di ribelli.
Proprio la natura preinsurrezionale del movimento, la sua organizzazione calibrata su un rapido volgere degli eventi, costituisce l'elemento di debolezza nel momento in cui si allontana la prospettiva della offensiva finale alleata e complessivamente della liberazione.
Il mutamento di situazione e di prospettiva dell'autunno 1944 è noto. Il movimento di liberazione, nell'intenzione di sostenere al massimo lo slancio alleato verso la pianura padana ed il Norditalia, opera la scelta di concentrare le forze partigiane combattenti in città, pronte a prenderne possesso con una insurrezione che deve coincidere con lo sfondamento angloamericano da Sud e da Est, dagli Appennini e dalla Romagna. Ma l'avanzata alleata rallenta sino ad arrestarsi. Le forze tedesche e quelle del neofascismo collaborazionista della Repubblica sociale italiana, vieppiù sollevate dalla pressione al fronte, possono dedicare una quantità progressivamente crescente di attenzione, di truppe e di mezzi alla guerra contro la Resistenza nell'Italia occupata.
Già nel settembre, e poi nell'ottobre 1944 si susseguono eccidi, per mano degli occupanti e dei collaborazionisti, le cui vittime sono partigiani, presunti partigiani e civili, in una logica di annientamento propria della guerra concepita dalle ideologie fascista e nazista quale guerra totale. Ma anche nell'intento di fare letteralmente terra bruciata attorno ad un movimento partigiano il cui rapporto con le popolazioni locali era vitale, e la cui distruzione era ritenuta utile nella prospettiva di un arretramento del fronte e dell'assestamento delle linee difensive tedesche. La serie di sevizie, uccisioni e distruzioni nota come strage di Marzabotto, in realtà estesa anche ad altri territori comunali limitrofi, si svolge in alcuni giorni tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre. Drammaticamente, il progressivo spegnersi dello slancio alleato aveva lasciato e lascia sempre più il campo libero ad una intensa attività antiguerriglia, sostanziata innanzitutto dal ricorso alle spie e da intensi rastrellamenti.
In questa delicata fase, si manifesta infine il definitivo spegnersi dello slancio alleato. Il 27 ottobre, il Quartier generale alleato ordina a tutti i reparti avanzati quanto era già avvenuto nei fatti, la sospensione dell'offensiva sulla Linea Gotica, anche se l'offensiva prosegue per oltre un mese in Romagna, dove l'8ª Armata giunge a liberare Forlì il 9 e Ravenna il 10 dicembre. Gli Alleati restano in attesa degli eventi sul fronte francese, dove vengono dislocate sette divisioni provenienti dal fronte italiano, e in attesa della primavera. Il 13 novembre il generale Harold Rupert Alexander dichiara apertamente, in un "proclama" letto per radio, la rinuncia all'offensiva alleata, e suggerisce la sospensione delle maggiori attività partigiane.
Il "proclama Alexander" tocca il nervo scoperto della vulnerabilità dei combattenti volontari antifascisti, i quali non possono certo cessare le ostilità e ritirarsi dietro linee inesistenti nella particolare guerra che stanno combattendo. Ovvero, i partigiani considerano gravi e inadeguate le parole del comandante alleato, accusato di non voler capire la loro condizione di combattenti guerriglieri. La delusione e l'ira per l'apparente leggerezza del messaggio, la sua divulgazione a tutti, che sembra quasi una sorta di via libera offerto al nemico, attraversano dolorosamente il mondo partigiano, nel quale non manca chi giunge a sospettare il dolo. Tuttavia, le parole di Alexander non sono le uniche da parte alleata, il cui Comando, verso la fine di dicembre, intende "esprimere la sua ammirazione e ringraziamenti per il lavoro che le formazioni ... di Bologna svolgono a favore della vittoria alleata (...) e Vi incoraggia a continuare la lotta fino a quando la Vostra città sia liberata dai tedeschi". Se lo stesso Cumer, il Comando unico militare regionale delle forze partigiane, esorta a non dare una interpretazione pessimistica del "proclama Alexander", è evidente a tutti che la fase che si è ormai aperta è destinata ad essere più dura di tutto quanto vissuto fino ad allora, e a durare almeno tutto l'inverno.
L'arrestarsi dell'avanzata, dunque, e la diminuita pressione alleata sui tedeschi, consente loro di scatenare nell'Italia occupata una complessa serie di attività contro i partigiani i quali, superata la logica cospirativa dei piccoli gruppi per formare grandi concentrazioni in città pronte alla spallata finale, risultano particolarmente vulnerabili. Si susseguono i rastrellamenti e si intensifica l'attività delle spie. Il bilancio è disastroso, mentre l'organizzazione partigiana deve evitare il rischio di disarticolarsi completamente, deve raccogliere e redistribuire le proprie forze secondo nuove forme, adeguate alla nuova situazione.
I combattenti della Bolognina non sanno ancora del "proclama Alexander" di due giorni primi. Essi sono chiusi in un isolamento nel quale è stato necessario rifugiarsi, in seguito allo sganciamento dopo la Battaglia di Porta Lame del 7 novembre, ottemperando alla regola principe della guerriglia per la quale, dopo aver colpito, la formazione combattente si dissolve per non opporsi in uno scontro in campo aperto ad una forza nemica che in tali condizioni sarebbe soverchiante. Ma forse anche, suggerisce l'Autore, perché i comandi partigiani che sapevano hanno preferito non dare a uomini già provati una notizia che avrebbe potuto gettarli nello sconforto. Erano ben consapevoli che la Battaglia di Porta Lame era stata un successo militare, ma non poteva, né avrebbe potuto, modificare il quadro di una situazione caratterizzata dal rinvio dell'insurrezione, dall'aumentata pressione nemica, dalla concentrazione in città di partigiani che è sempre più difficile tenere al sicuro, una parte dei quali, provenienti dalle formazioni di montagna e di pianura non ha nemmeno esperienza di guerriglia in città.
La Battaglia della Bolognina, rappresenta un momento di svolta. Qui muta il destino e l'organizzazione del mondo partigiano bolognese e, quasi con un mese di anticipo sul volgere naturale delle stagioni, da qual giorno straordinariamente sereno e soleggiato, inizia il lungo inverno 1944-1945. Il racconto, oltre ad essere un puntuale resoconto dello scontro, delle manovre di sganciamento, del destino dei singoli combattenti, diviene paradigmatico della vicenda dell'intera Resistenza italiana nel frangente dell'autunno-inverno 1944.
La narrazione di un solo episodio, ancorchè carico di significati, consente di leggere, meglio che in tante opere più ponderose e certamente più complete, la lotta armata, sia per i suoi aspetti militari, sia per quelli, umanissimi, della condizione soggettiva dei combattenti. La scrittura propone con una linearità descrittiva e con una freddezza cronachistica soltanto apparente la condizione d'animo di chi attende la catastrofe. Un imponente operazione di rastrellamento riuscirà a scoprirli e non lascerà loro vie di scampo. L'Autore percorre le trame di una condizione psicologica di chi è costretto brutalmente a mutare di stato tra momenti intensissimi di febbrile azione, di tensione massima e le ore e i giorni di attesa, di coatta inerzia subita, e sempre in uno stato di tensione, nell'un caso per l'impeto del combattimento disperato, perché la possibilità di uscirne vivi sono minime, nell'altro per la incertezza impotente, che può avere in qualunque momento l'esito dell'essere scoperti. In entrambi i casi, la speranza - in tempo di pace non è facile comprenderlo - consiste nel morire nel fuoco del combattimento, giacchè la cattura da parte del nemico, oltre a non avere esito diverso, comporterebbe l'atroce, interminabile agonia delle torture.
Descrivendo i propri compagni, si ha un quadro ricco e piuttosto completo dei diversi combattenti partigiani, per cultura d'origine, per formazione, per esperienza di lotta. Si tratta di volontari, non certo soldati di professione, che stanno imparando a un duro prezzo a combattere, che talora devono assumere decisioni per le quali non sono preparati. L'unica guida è costituita dall'intuizione, frutto dell'esperienza, dei più anziani, non tanto per età, ma per militanza antifascista e per guerriglia di città. Appare evidente nel testo, la diversa preparazione e la diversa predisposizione d'animo dei partigiani formatisi nelle Gap cittadine rispetto a quelli provenienti da aree non urbane e da formazione di altra natura.
Il partigiano Italiano, l'Autore, è tra i pochi sopravvissuti. Si dichiara semplicemente "fortunato", con un atto di modestia che è anche e soprattutto di omaggio verso i compagni caduti. Il ricordo delle loro persone e delle loro vite è ripreso in appendice al racconto, con schede commosse e partecipi.
In realtà, Italiano si è salvato non soltanto perché la sorte lo ha aiutato, ma perché aveva affrontato la sua esperienza partigiana con tanta partecipazione e passione quanto con scrupolosa attenzione per gli aspetti tecnico militari, minuziosamente curati, nei quali si fonde anche la capacità di giocare il proprio aspetto fisico. Nonostante la sua giovane età, è uno dei partigiani più esperti, e quello in grado di attuare il piano messo a punto nell'attesa della mattina del 15 novembre. Non senza autoironia, l'Autore spiega come il suo aspetto fanciullesco gli è servito in più di una occasione da lasciapassare, consentendogli di superare controlli che, se solo avesse avuto un aspetto più adulto, avrebbero significato la fine per lui. E tuttavia, non può sfuggire che tale aspetto non è un regalo della natura, ma è soltanto una opportunità che bisogna sapere utilizzare, con una capacità di autocontrollo costruita nel tempo e sostenuta dalla convinzione della giustezza della militanza partigiana.
Renato Romagnoli ha prodotto diversi lavori e ha lasciato numerose testimonianze della sua attività partigiana. Questo ultimo scritto sviluppa aspetti importanti con la generosità di chi, dopo tanti anni, continua a mettersi in gioco, offrendo non narrazioni agiografiche, che sarebbe normale attenersi e che nessuno potrebbe sentirsi autorizzato a criticare per questo, ma aprendoci il suo animo di combattente e di uomo. Regalandoci un piccolo libro prezioso, che ha senso leggere oggi, in un'epoca in cui fuochi di guerra, soltanto apparentemente lontani da noi in un mondo globalizzato, scuotono le coscienze europee. Coscienze nel cui passato sta, fondante, la lotta antifascista, esperienza storica e patrimonio collettivo non già in grado di offrire soluzioni immediate ai problemi del presente, ma essenziale parte costitutiva di una cultura in grado di costruire una risposta di pace.
Luca Alessandrini
Il libro è scaricabile sia in formato PDF sia in formato EPUB