Giampietro Panziera, tesi di laurea in storia dell'Europa contemporanea. Anno Accademico 1998-1999. Si ringrazia l'autore per aver concesso l'utilizzo del testo.
Dall' "Introduzione"
“Il presente falsificato genera un futuro malato. La storia si vendica (…) ”.
Slavomir Mrozek
Al tempo in cui mi fu proposta una tesi che avesse come
argomento l’esercito polacco in Italia, confesso che ignoravo
l’esistenza del 2° Corpo d’Armata comandato dal generale
Anders. Nella mia parziale conoscenza degli eserciti alleati avrei
potuto rifarmi agli americani, agli inglesi, ai marocchini e ad
altri, ma non ai polacchi. Forse, perché ero anch’io assuefatto
all’idea che fossero gli americani i veri e autentici liberatori. Un
mito dell’alleato americano, che Carlo Levi descrisse
limpidamente nel suo libro “L’Orologio”: “Gli americani, certo,
erano tutt’altra cosa. Erano giovani, e ricchi, e allegri, e
venivano dall’altro mondo, dal mondo di là dal mare, dal paese
sognato della fortuna. La fortuna portavano con sé. ”,
diversamente i militari polacchi erano, “… questa piccola
America minore, così povera di mitologia e di speranza, così
poco poetica, senza il mare di mezzo, fatta di baffi rossi, di
immagini di santi e di bottiglie di birra. Era tuttavia una realtà,
minuta e miserabile, ma una realtà, strana e fuori del
consueto”1. In effetti, potei, solo in seguito, constatare quanti
pochi miei colleghi universitari o semplici amici conoscessero
l’esercito del generale Anders. Un’amica marchigiana e un altro
romagnolo riuscirono a procurarmi qualche notizia, ma solo
perché avevano chiesto ai propri nonni.
Consultando le biblioteche bolognesi, trovai alcuni libri che
citavano il 2° Corpo polacco, ma sempre e solo con commenti
che ne celebravano il contributo nella guerra contro i nazifascisti.
Per il resto poco o nulla, mentre il mio proponimento di partenza
era di trovare conferme a certe voci, che volevano i soldati
polacchi acerrimi antisovietici, tali da rendersi protagonisti di
aggressioni e di violenze contro i comunisti e i socialisti italiani.
In Italia, chi ha provato, più di altri, a fare chiarezza sulla
storia di quest’esercito fu uno dei suoi ufficiali, il prof. Riccardo
Casimiro Lewanski.
Nel 1985, Lewanski curò la pubblicazione
del libro “I giorni della Liberazione. Il 2° Corpo d’Armata
polacco in Romagna e a Bologna”, contribuendo a raccontare
l’esperienza che la guerra impresse nei soldati polacchi,
attraverso la raccolta di poesie, racconti e memorie. Un resoconto
storico, ma più che altro umano, che ricostruisce l’epopea di
migliaia di uomini, in lotta per un ideale di pace e di libertà.
Tuttavia, nell’importante lavoro di Lewanski non v’è quasi
traccia delle incomprensioni politiche tra polacchi e italiani, che
l’autore prudentemente definisce come un problema
“estremamente complesso”, da approfondire in altra sede. Lo
stesso Lewanski sembra voler, sbrigativamente, allontanare i
sospetti di un difficile e scomodo passato:
“Certamente oggi i comunisti italiani capiscono meglio le ragioni che
spiegano quella carica anticomunista degli operai, contadini ed
intellettuali polacchi in uniforme al loro arrivo in Italia nel lontano
1945”.
Il contrasto ideologico, fra militari polacchi e comunisti e
socialisti, non fu ignorato da un altro storico bolognese, l’ex
partigiano Nazario Sauro Onofri, nel libro “Il triangolo rosso
(1945-1947) ”. Onofri, descrivendo il clima di tensione sociale e
politico del dopoguerra in Emilia Romagna, non mancò di inserire i soldati polacchi,
“Che avevano dato un contributo non
piccolo alla delinquenza postbellica”.
Il libro di Onofri, sostenuto da documenti d’archivio, non fu tenero nei confronti
dei polacchi, accusati di vicinanza con i fascisti e di violento
anticomunismo. Nemmeno con Lewanski fu morbido, additato
tra quei polacchi che: “Non gradiscono che si ricordi qualche
episodio poco edificante della loro presenza in Italia”.
In Lewanski e Onofri erano ancora intatte le divergenze
ideologiche, che avevano diviso la resistenza bolognese e i
soldati del 2° Corpo, soprattutto per le reciproche pretese di
essere i “veri” liberatori di Bologna. Una distanza che proviene
da lontano, come testimoniano le parole del comunista Dozza,
primo sindaco di Bologna nel dopoguerra:
“I polacchi destano qualche preoccupazione; manifestano un
anticomunismo viscerale, pregiudiziale, che può essere foriero di
brutti scontri. Qualche duro pestaggio si è purtroppo già verificato
fra partigiani e soldati polacchi. I rapporti con le autorità alleate
sono buoni, ma talune incomprensioni cominciano a prendere
forma”.
In effetti, stando al libro di Sergio Soglia “La liberazione di
Bologna”, in quella storica mattina del 21 aprile 1945 si scampò,
per miracolo, a qualcosa d’irreparabile tra i polacchi e i
partigiani:
“ C’è un momento di vivissima tensione. L’avanguardia del corteo,
esultante, va incontro ai soldati. Si gridano evviva e si sventolano
bandiere in segno di festa. D’un tratto due soldati polacchi scendono
da un carro armato e strappano le bandiere rosse dalle mani dei
compagni. Nasce un pericoloso tafferuglio. I partigiani piazzano sul
selciato le mitragliatrici. Stefano (Bruno Albertazzi) infila il
caricatore e non vuole sentire ragioni. Nel mezzo, tra carri armati e
partigiani, si mettono i dirigenti comunisti. "Siete impazziti? Calma.
La guerra continua, ma il nemico è un altro” ripete con autorità un
dirigente. (…) L’incidente si placa. Il gruppo di partigiani,
visibilmente contrariato e amareggiato, ingoia il torto patito.”.
Oggi, per quanto riguarda la questione della liberazione di
Bologna, si può serenamente affermare che la sua realizzazione
fu ottenuta da un impegno di più parti (Partigiani, Alleati, Gruppi
di combattimento italiani). Nessuno potrebbe negare che i
polacchi furono i primi ad entrare a Bologna la mattina del 21
aprile 1945, così come nessuno può ignorare che essi trovarono
una città controllata nei punti chiave dai rappresentanti della
Resistenza. Solo la diversa interpretazione politica di ciascuna
parte ha tentato, negli anni, di prevalere sulle altre; mentre,
mantenendosi fedeli allo storico Bloch: “I guai cominciano
soltanto quando ogni proiettore pretende di vedere tutto da solo;
quando ogni regione del sapere crede di essere una patria”.
Tuttavia, proprio per questo, resta sorprendente la denuncia
che Lewanski pose all’attenzione, nella prefazione del suo libro,
ricordiamo, pubblicato nel 1985:
“Purtroppo la maggior parte di quei diplomi e documenti dei giorni
immediatamente successivi alla liberazione, documenti che portano i
primi numeri di protocollo dopo il 21 aprile 1945, sono scomparsi
dall’Archivio Comunale e le ricerche eseguite dietro mia richiesta
sono rimaste senza alcun esito. Fortunatamente, grazie all’Istituto
Sikorski, l’archivio comunale potrà essere adesso completato”.
L’episodio, già di per sé curioso e allarmante, fu aggravato dal
fatto che gli ex combattenti polacchi non furono invitati dal
Comune di Bologna a partecipare ai festeggiamenti ufficiali del
40° Anniversario della Liberazione, dove sfilarono invece i “fanti
sovietici”.
A questo punto, la questione sul tavolo si faceva veramente
interessante, l’unico inghippo era che: “Le cause in storia non
più che altrove, non si postulano. Si cercano…”.
Mi recai a Varsavia, dove incontrai due storici: il prof. A.
Paczkowski e il ricercatore di storia militare dott. S. Wawer.
Entrambi mi confermarono l’interesse e l’attenzione che la
pubblicistica polacca aveva riscoperto per le vicende dell’armata
di Anders. Nel corso degli anni ‘50, durante lo stalinismo, il
2°Corpo e il suo comandante erano stati giudicati alla stregua di
fuorilegge, al punto che su di loro si era abbattuto l’ostracismo
della storiografia di regime. Dagli anni ‘70, gli storici polacchi
avevano ripreso l’esperienza del 2°Corpo, enfatizzando il ruolo
dei soldati, e il loro eroismo dimostrato nella battaglia di Monte
Cassino e nella Campagna d’Italia. Una formale avversione
classista ad Anders e ai suoi ufficiali persistette, ma, nel
frattempo, si cercò di esaltare il portato nazionale e popolare
della lotta dell’esercito polacco contro il nemico nazista. Le
vicende che avevano condotto alla costituzione dell’armata
polacca furono sempre volutamente ignorate, così come
l’invasione sovietica del 17 settembre 1939, le deportazioni nei
campi di lavoro siberiani, l’odissea morale e politica di migliaia
di profughi polacchi. Solo con la caduta del sistema comunista, il
nome di Anders fu riabilitato dall’accusa di “tradimento della
patria”, e fu avviato il recupero della memoria storica delle
migliaia di cittadini, strappati dalle regioni orientali polacche nel
1939. Tuttavia, né Paczkowski né Wawer erano a conoscenza di
episodi che avevano contrapposto i soldati polacchi alla
componente comunista e socialista della Resistenza italiana.
Le mie ricerche, un po’ inconcludenti, mi spinsero fino a
Roma: all’Archivio Centrale dello Stato (ACS), all’Archivio
Storico Diplomatico degli Affari Esteri (ASME), all’Archivio
dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito
(AUSSME). Nei tre archivi rinvenni, finalmente, le informazioni
che cercavo, le conferme ad un’ipotesi, che fino allora aveva
assunto i contorni di semplice pregiudizio popolare.
Presso l’ACS, consultando il fondo di Pubblica Sicurezza per
gli anni 1944-46, trovai due buste (178-179) dal titolo eloquente:
“Incidenti provocati da militari polacchi”. All’interno delle buste
ho così potuto scoprire una quantità vastissima di rapporti
prefettizi e segnalazioni di comandanti dei Carabinieri, che
riguardavano episodi di incidenti tra militari polacchi e
simpatizzanti comunisti e socialisti italiani. Non solo, nei
fascicoli erano anche elencati altri tipi di reati, non politici, che
coinvolsero militari polacchi e civili italiani: aggressioni, furti e
rapine, investimenti d’automezzi militari. Avevo trovato le prove
dell’esistenza di difficili e non sempre lineari rapporti tra soldati
polacchi e popolazione italiana, specialmente nelle province
marchigiane e romagnole. Soprattutto, potevo dimostrare
l’attenzione e la preoccupazione che il fenomeno aveva destato
nelle forze dell’ordine e al Ministero dell’Interno, tra gli anni
1944 e 1946. Proprio quando credevo di aver ottenuto tutte le
conferme sulla validità dell’ipotesi di partenza, sorsero alcuni
dubbi sull’impostazione della mia ricerca.
La consultazione presso l’ASME mi permise di comprendere
quanto la questione del 2°Corpo avesse potuto influenzare le
complicate e sensibilissime trame della diplomazia italiana, negli
anni della sua ricostruzione democratica. Nei documenti
dell’ACS i soldati polacchi apparivano come soggetti di una
violenza premeditata, mentre, grazie alle carte dell’Archivio
Storico Diplomatico, emerse una nuova traccia, che consentiva
un’interpretazione diversa. In questi ultimi documenti, il
2°Corpo, da esercito vincitore e liberatore passava ad oggetto
indesiderato nelle logiche diplomatiche tra Italia e Polonia, in
poche parole un “esercito scomodo”, che bisognava allontanare
dall’Italia. Avevo trovato materiale necessario per iniziare il mio lavoro di ricomposizione: scegliendo, separando e analizzando.