Al cospetto di qualche parente infastidito dai simboli pagani e dai saluti fascisti, a Milano, il 30 maggio scorso, di pomeriggio, presso la camera mortuaria dell’obitorio di via Ponzio, in zona Città Studi, una piccola folla di un centinaio di camerati si è ritrovata per rendere l’estremo saluto a Walter Maggi, quarantaduenne figura di rilievo del variegato panorama del neofascismo milanese, già dirigente del Fronte sociale nazionale, poi del Movimento dei socialisti nazionali. La notizia della tragica scomparsa era subito corsa di bocca in bocca. Anche su alcuni siti d’area la “prematura e assurda morte terrena” di Walter Maggi era stata annunciata, accompagnando il comunicato con una “leben rune”, il simbolo della vita utilizzato un tempo dai nazisti. Silenzio assoluto invece sul motivo, non proprio da “guerrieri”, dell’improvviso decesso: un’overdose di cocaina, si sussurra nel giro. A rendere omaggio al feretro, prima della traslazione della salma al cimitero di Lambrate, dove sarebbe stata cremata, anche Adriano Tilgher, il segretario del Fronte sociale nazionale, giunto appositamente da Roma, e persino Stefano Delle Chiaie, il “grande vecchio” del neofascismo italiano, attorniato da alcuni amici calabresi. Il Fronte sociale nazionale, una specie di reincarnazione di Avanguardia nazionale (insieme a Ordine nuovo la maggiore organizzazione dell’estremismo di destra fra gli anni Sessanta e Settanta, sciolta nel 1976 per ricostituzione del partito fascista), al di là dalle apparenze, è tuttora diretto da Stefano Delle Chiaie, detto “caccola” per la sua bassa statura, inquisito e assolto per la strage di piazza Fontana e alla stazione di Bologna, ma soprattutto al servizio, in ben 17 anni di latitanza, del franchismo spagnolo, del generale Augusto Pinochet in Cile e di altre svariate dittature sudamericane. Spalla a spalla con Tilgher e Stefano Delle Chiaie: Marco De Rosa e l’italo-argentino Attilio Carelli, storici esponenti della Fiamma tricolore; l’onorevole Paola Frassinetti, deputata di Alleanza nazionale; Marco Clemente e sua moglie, Roberta Capotosti, entrambi dirigenti di An; Fabrizio Fratus, non più tardi di un anno fa ancora segretario dell’onorevole Daniela Santanchè; Roberto Jonghi Lavarini, chiamato il “Barone nero”, già presidente per Alleanza nazionale al Consiglio di zona 3; il nobile Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, segretario della federazione missina fra la fine degli anni Settanta e l’inizio negli anni Ottanta, più volte deputato, e Marco Valle, storico dirigente del Fronte della gioventù, poi nella Fiamma tricolore e nel Movimento sociale europeo, oggi nella commissione di garanzia cittadina di Alleanza nazionale. Stefano Di Martino, vice presidente del Consiglio comunale milanese e dirigente nazionale di An, non potendo intervenire, aveva inviato un suo messaggio, ricordando la lunga militanza in comune con lo scomparso. Più che un funerale, quasi un’istantanea dell’estrema destra milanese, in bilico tra una miriade di gruppi, Alleanza nazionale, ma anche frange della malavita organizzata.
La tendenza alla frammentazione nella destra radicale è ormai un dato consolidato, in particolare dopo la fallimentare esperienza dell’Msi-Fiamma tricolore di Pino Rauti, come contenitore possibile di tutto il neofascismo, all’inizio del 1995, contestualmente alla nascita di Alleanza nazionale. Lo spazio di una breve stagione presto naufragata in furibondi litigi, espulsioni e scissioni. Anche a Milano. Nel capoluogo lombardo sono due le aree di riferimento: da un lato, Forza nuova con un patto d’alleanza con Azione sociale, il Fronte sociale nazionale e il Movimento idea sociale-lista Rauti, dall’altro, la Fiamma tricolore. Forza nuova, non più di un centinaio di militanti e altrettanti simpatizzanti, può contare in città su una sede in piazza Aspromonte, il cosiddetto “Presidio”, con tanto di negozio di oggettistica annesso e, più di recente, un pub all’interno. Il tentativo da anni è quello di dar vita ad un luogo di aggregazione giovanile. Capo indiscusso Duilio Canu, ex fondatore e leader di Azione skinhead, organizzazione sciolta d’autorità nel 1993 per istigazione all’odio razziale. Con lui anche il vecchio Sergio Gozzoli, a 14 anni nella Rsi, e Don Giulio Tam, prete fascista ordinato a suo tempo dallo scismatico monsignor Lefebvre. Per Don Tam “la tonaca è semplicemente un camicia nera più lunga”. Sua anche la definizione di se stesso come “crociato in lotta contro la decadenza, ’invasione islamica e le trame dei perfidi giudei”. Azione sociale, l’ultima creatura di Alessandra Mussolini, è invece guidata da Roberto Giacomelli, “maestro” di arti marziali in una nota palestra, la Bulldog’s Gym, situata in una traversa di viale Monza. Poche decine di elementi. Con loro, comunque, candidato alle ultime elezioni politiche, anche Lino Guaglianone, ex terrorista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), ora ricco commercialista e imprenditore, proprietario della palestra Doria in via Mascagni, una figura importante di raccordo fra la destra radicale e gli “istituzionalizzati” aennini. Il Fronte sociale nazionale, venti militanti in tutto, dal canto suo, non si è ancora ripreso dalla pesantissima vicenda dell’assassinio di Alessandro Alvarez, un giovane neofascista cresciuto nell’organizzazione, freddato con tre colpi di pistola a Cologno nel marzo del 2000, sullo sfondo di non mai chiariti traffici con la malavita organizzata. Si parlò a lungo di un borsone, mai ritrovato, pieno di pistole e fucili. Al processo gli avvocati di parte civile sostennero, senza peli sulla lingua, che Alvarez “era venuto a conoscenza di qualcosa che non doveva sapere”. Due mesi dopo, anche un altro suo amico, Francesco Durante, fu eliminato con un colpo alla nuca. Il suo cadavere fu ritrovato incaprettato nel bagagliaio di un’automobile semicarbonizzata, sotto il muro di cinta del Beccaria. Praticamente inesistenti, infine, i fedelissimi dell’ex capo di Ordine nuovo Pino Rauti, appena una decina. In forte ascesa, invece, sull’altro versante, la Fiamma tricolore, solo un centinaio di iscritti, ma con forti intrecci ormai consolidati con alcuni gruppi giovanili legati al circuito Hammerskins. Da qualche tempo questa formazione sta tentando di importare anche a Milano l’esperienza romana delle Onc (Occupazioni non conformi) e delle Osa (Occupazioni a scopo abitativo, ovviamente “solo per italiani”), lanciando a livello locale temi come il “mutuo sociale”. L’immaginario utilizzato è di tipo movimentista, fortemente aggressivo e violento. Forti i legami con alcune frange ultras delle curve, sia dell’Inter che del Milan, di cui parleremo. In mezzo, per così dire, gli aderenti al Movimento nazionalpopolare di Tomaso Staiti di Cuddia, un piccolo gruppo con buone risorse economiche situato presso la sede degli ex repubblichini dell’Unione nazionale combattenti in via Rivoli; il Movimento fascismo e libertà, una decina di personaggi folkloristici, ormai ridotto ai minimi termini dopo due micro-scissioni di tre-quattro elementi che hanno dato vita rispettivamente a Nuovo ordine nazionale e Fasci italiani del lavoro, e, per chiudere, il Movimento dei socialisti nazionali, a cui ultimamente era approdato anche Walter Maggi, nell’orbita del quotidiano Rinascita Nazionale e dell’omonimo gruppo (animati da Ugo Gaudenzi, inizialmente utilizzando lo stesso stemma delle Ss italiane), e della rivista Uomo Libero di Piero Sella, conosciuta per le sue tesi razziste e antisemite. Non più di trenta, comunque, i militanti di questo raggruppamento, su posizioni marcatamente antimperialiste e filo-islamiche. A fare da ponte tra queste sigle e Alleanza nazionale, la cosiddetta “Destra per Milano” di Roberto Jonghi Lavarini, ancora una volta nella lista di An alle ultime elezioni comunali. Jonghi Lavarini, aderente alla “Fondazione internazionale generale Augusto Pinochet”, per anni collaboratore dell’agenzia investigativa Tom Ponzi, per la quale si è occupato soprattutto di “infedeltà e devianze”, da anni si vanta di intrattenere relazioni con i neonazisti tedeschi dell’Npd. A tenere i contatti fra tutte le diverse famiglie dell’estrema destra, il Comitato per Sergio Ramelli, alias “I camerati”, dicitura con cui solitamente si firmano i manifesti. Una sorta di coordinamento milanese, ora presieduto, dopo la morte di Nico Azzi, da Luca Cassani detto “Kassa”, inquisito nel 1997 per l’accoltellamento di un consigliere comunale del Prc, poi successivamente prosciolto. A questa struttura di collegamento continuano a dare il proprio contributo anche altre storiche figure dell’estremismo nero: Remo Casagrande, notissimo picchiatore degli anni Settanta, Cesare Ferri, accusato e poi assolto per la strage di piazza della Loggia a Brescia, e Maurizio Murelli, condannato in concorso con Vittorio Loi per aver ucciso nel 1973 un poliziotto a Milano, colpito al petto dal lancio di una bomba a mano durante i disordini seguiti a una manifestazione dell’Msi. Nico Azzi, per la cronaca, apparteneva al gruppo de La Fenice, la sezione milanese di Ordine nuovo. Rimase ferito dall’esplosione del detonatore, il 7 aprile 1973, nella toilette del treno Torino-Roma mentre tentava di innescare un ordigno a tempo, composto da due saponette di tritolo da mezzo chilo l’una, che avrebbe certamente fatto una strage. Le modalità di svolgimento dei suoi funerali, nel gennaio scorso, suscitarono più di qualche protesta, soprattutto per il luogo dove fu officiato il rito funebre: la basilica di Sant’Ambrogio, dedicata al patrono della città, dove tra fasci littori e croci celtiche Nico Azzi fu accompagnato nel suo ultimo viaggio, presente il vicepresidente di Alleanza nazionale Ignazio La Russa, da due schiere di camerati intenti a salutarlo romanamente. Da questo crogiuolo, di storie e percorsi, ha preso corpo anche il nuovo progetto di “Cuore nero”.
Il disegno è semplice: aprire anche a Milano centri sociali di destra e costituire zone off-limits per la sinistra, sul modello romano. Un salto rispetto alla precedente esperienza della “Skin House”, adibita quasi esclusivamente a concerti e a grandi bevute di birra, in via Cannero alla Bovisa, in un luogo estremamente isolato, a ridosso della massicciata della ferrovia, poi chiusa nell’ottobre scorso a causa dei lavori per l’apertura di una nuova stazione della metropolitana. L’incendio doloso dei locali, l’11 aprile scorso, di un ex negozio di lapidi mortuarie, in fondo a viale Certosa, dove avrebbe dovuto avviarsi l’attività di “Cuore nero”, in apparenza un circolo culturale, in realtà la casa comune del neofascismo milanese, ha solo per il momento congelato l’iniziativa. Uno smacco che ha suscitato reazioni rabbiose e desideri di vendetta, a stento trattenuti anche grazie all’intervento di alcuni autorevoli esponenti di Alleanza nazionale, subito accorsi per esprimere la loro solidarietà. “Camerati state buoni e abbiate pazienza” – questa la voce diffusa nell’ambiente – “prima o poi gliela faremo pagare!”. L’inaugurazione di “Cuore nero” era stata a lungo preparata, anche con ripetuti incontri, in particolare con Gabriele Adinolfi, uno dei fondatori di Terza posizione, gruppo eversivo della seconda metà degli anni Settanta, ed oggi mente pensante di casa Pound a Roma, il principale centro sociale dell’estrema destra capitolina. Non a caso, in questi ultimi mesi, Adinolfi era stato più volte visto a Milano, insieme al figlio Carlomanno, ospite a casa di Maurizio Murelli a Cusano Milanino. In prima fila a gestire l’operazione erano stati chiamati Roberto Jonghi Lavarini e soprattutto Alessandro Todisco (già condannato per istigazione all’odio razziale nell’ambito dello scioglimento a Milano di Azione skinhead e coinvolto in diverse aggressioni), in grado di mobilitare il giro degli Hammer e degli ultras: la vera massa di manovra.
Gli Hammer, non più di un centinaio fra Lombardia, Veneto e Lazio, si considerano l’elite del movimento naziskin. Strutturati quasi come una setta segreta, in modo gerarchico e piramidale, appartengono alla rete internazionale degli “Hammer Skin White Nation” in lotta nel mondo per la supremazia della “razza bianca”. Più difficile di quanto si pensi potervi entrare. Gli aspiranti sono costretti ad una gavetta di almeno quattro anni e, successivamente, se ammessi, a riti di iniziazione. Si parla di pestaggi di immigrati o di lotta con il coltello contro cani da combattimento. Solo alla fine si potrà essere “marchiati” da un grosso tatuaggio con due martelli incrociati in una parte visibile del corpo, collo o avambraccio. Uscirne è difficilissimo. Chi l’ha fatto ha dovuto cancellare o bruciare i tatuaggi e subire per anni minacce e ritorsioni. Già sciolti dalla magistratura, una prima volta nel 1998, “per istigazione all’odio razziale, etnico e religioso”, gli Hammer a Milano saranno una ventina, ma con altrettanti “novizi” in cerca dei due agognati martelli. Attorno a loro ruotano anche altri gruppi, come gli “Ambrosiana skinhead”, una ventina di giovanissimi ragazzi di periferia, sempre con il coltello in tasca, assidui frequentatori di pub, tra via Ripamonti e il Ticinese, con più di qualche legame “di strada” con la malavita locale. Nella galassia delle teste rasate, anche cani sciolti. Tra gli altri, la banda capitanata dal fratello di Alessandro Todisco, Franco, detto “Lothar”, esperto in arti marziali e plurigiudicato anche per furto e stupefacenti, alla perenne ricerca di scontri e risse unitamente a un giro ristretto di amici tra cui spiccano “il Pirata”, “Fanter” e “Darietto”. Oggi “Lothar” si guadagna da vivere facendo il buttafuori, grazie all’interessamento di Marco Clemente di Alleanza nazionale, già in Forza nuova ed attualmente esponente della corrente di Alemanno, di cui cura i finanziamenti a Milano e in Lombardia.
Un tempo le curve dello stadio di S. Siro venivano politicamente divise in questo modo: a sinistra “la curva sud” rossonera, a destra la “curva nord” nerazzurra. Da almeno dieci anni la realtà è però cambiata: mentre sul fronte interista si sono mantenute, anche sotto la dirigenza Moratti, influenze e connotazioni spiccatamente destroidi, attraverso il gruppo degli Skins prima e degli Irriducibili e Viking oggi, sul fronte milanista da tempo sia le Brigate Rossonere che ancor di più i Commandos Tigre hanno dato una svolta di tipo razzista al tifo. La situazione è andata peggiorando da quando, due anni fa, si è sciolta la storica Fossa dei Leoni, ultimo baluardo di un modello ultras che non ammetteva compromessi con i vertici societari e, seppur composta principalmente da ragazzi di sinistra, non consentiva si “politicizzasse” il tifo. Da allora uno scontro senza esclusione di colpi ha iniziato a insanguinare la “lotta per il potere” della curva milanista costellandola anche di aggressioni e agguati a pistolettate. Diversi i procedimenti giudiziari attualmente in corso. Molti i nomi degli ultras interni alla destra radicale: il già citato Luca Cassani, ex Fossa dei Leoni ed oggi esponente di spicco dei Guerrieri; l’ex assessore di Opera e responsabile locale dell’Associazione culturale Area (legata alla corrente di Alemanno), Alessandro Pozzoli, detto “Peso”, anche lui già attivo nella Fossa, poi con i Guerrieri, indagato per le “guerre intestine” nella curva milanista e parente di quell’Alberto Pozzoli, ex esponente di spicco della curva interista e consigliere comunale di Alleanza nazionale a Opera, accusato insieme al collega Ettore Fusco della Lega per l’incendio, nel dicembre scorso, delle tende destinate ai Rom. Nelle scorse elezioni comunali i Guerrieri hanno sostenuto due candidati di Alleanza nazionale: Carlo Fidanza, attuale capogruppo a Palazzo Marino e Roberto Jonghi Lavarini, primo dei non eletti. Un “guerriero”, Carlo Lasi, finito nei guai per un tentato omicidio (ha sparato al suo datore di lavoro per futili motivi), è stato persino candidato in An nei consigli di zona 3 e 4. Questa alleanza tra curve e fascisti si è anche consolidata grazie a Giancarlo Capelli, storico leader delle Brigate Rossonere, e Giancarlo Lombardi, detto “Sandokan”, dei Guerrieri Ultras, in rapporti di strettissima amicizia con Alessandro Todisco, leader insieme al fratello “Lothar” degli Irriducibili interisti. Ultimamente hanno entrambi partecipato ad una festa per la fine dei suoi arresti domiciliari e prima ancora ai funerali di Nico Azzi.
La scelta della zona, dove far vivere “Cuore nero”, non è stata casuale. Qui, a poche centinaia di metri, in via Vilfredo Pareto, Alessandro Todisco gestisce “Il sogno di Rohan” (nome tratto dalla saga del Signore degli Anelli, il racconto tolkeniano fatto proprio dai fascisti degli anni Settanta), un negozio punto di ritrovo di tutti i naziskin milanesi, adibito alla “vendita militante” delle magliette e degli accessori da stadio prodotti dalla linea “Calci e Pugni” dello stesso Todisco: un raro esempio di nazi imprenditore. Sulle t-shirt la scritta “Nel dubbio mena!” o immagini di mazze da baseball incrociate. Qui si è anche a due passi dal Cimitero Maggiore. Non lontani dal “Campo X”, meta di pellegrinaggi nostalgici, dove sono stati tumulati i resti di alcune centinaia di caduti della Rsi, tra loro Alessandro Pavolini, il comandante delle Brigate nere, Francesco Colombo, il fondatore della Legione Muti, ma anche una decina di Ss italiane, numerosi militi della Decima Mas e qualche torturatore della banda Kock. Non lontano da Quarto Oggiaro.
Nato come quartiere popolare, agli inizi degli anni Sessanta, per accogliere l’immigrazione meridionale, Quarto Oggiaro ha oggi una popolazione di residenti in gran parte anziana. Oltre a una storica malavita organizzata (fino alla metà degli anni Novanta imperversavano clan famosi, tra gli altri, gli Arena e i Tatone), forte è anche la presenza di fascisti. Reciproci i favori. Qui le sentinelle dello spaccio e della mala “curano” in campagna elettorale anche i manifesti. Nelle ultime elezioni amministrative, in particolare, di alcuni candidati di Alleanza nazionale. Nel comitato elettorale di An a Quarto Oggiaro, in via De Roberto, era stata anche appesa una fotografia che ritraeva tutti assieme: Jonghi Lavarini, candidato al Comune, con Salvatore Di Giovine, detto “Zio Salva”, della notissima famiglia calabrese da sempre implicata nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti in zona (è del maggio scorso l’arresto di Domenico Di Giovine alias “Mimmo lo zoppo”), il consigliere di zona 8 Massimo Picozzi, ex Forza Italia, l’avvocato Adriano Bazzoni, braccio destro dell’onorevole Ignazio La Russa. Per l’occasione Jonghi Lavarini sfoggiava la maglietta “Quarto Oggiaro stile di vita”, ideata, prodotta e diffusa in zona dalla ditta “Calci e Pugni” di Alessandro Todisco. An, insieme all’Ugl (l’ex Cisnal), ha anche un’altra sede in mezzo alle case popolari in via Pascarella. Ma il ritrovo più frequente è al Garden in via Lopez, in un ristorante-pizzeria gestito dai fratelli tarantini Francavilla, referenti di Giancarlo Cito a Milano, ex sindaco di Taranto nei primi Novanta, condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa. Altri luoghi: il bar Quinto tra via Pascarella e via Satta, e il circolo Il Faro, sempre in via Lopez, cui fanno capo anche gli aderenti all’associazione “Amici di Quarto Oggiaro”, legata a commercianti della zona ma soprattutto ad un gruppo di custodi delle case popolari particolarmente interessati a ottenere favori da alcuni esponenti di Alleanza nazionale oggi dirigenti dell’Aler. Stretti, sembrerebbero, anche i rapporti tra i fascisti e la famiglia siciliana dei Crisafulli. In particolare con Ciccio Crisafulli, nipote ed erede di Biagio “Dentino” Crisafulli, boss di Quarto Oggiaro, in carcere dal 1998, dopo il suo arresto a Parigi per spaccio e traffico internazionale di droga. Anche in questo caso qualcuno si è lasciato alle spalle qualche fotografia di troppo che potrebbe presto diventare compromettente. Sono in molti a raccontare di questi intrecci, in un mondo dove, anche per forti contrasti personali, filtrano spesso notizie e indiscrezioni anche pesanti. Non così difficile raccoglierle. Tra i chiacchieroni anche chi se la squagliò, lo scorso anno, con la seconda moglie di uno dei più autorevoli esponenti del neofascismo milanese. Un’onta da lavare con il sangue, tanto più che su un blog si era pure raccontata l’intera storia. E se immediatamente cessarono i finanziamenti a Gioventù europea, un’organizzazione vicina ad An, garantiti dal marito tradito, solo l’intervento pacificatorio di Stefano Delle Chiaie ha impedito conseguenze ben più gravi. Alla fine molto trambusto, qualche sparo andato a vuoto e un’auto in fiamme, non denunciata.
Le ultime notizie, in casa della destra radicale milanese, dicono di una riunione, per studiare la possibilità di acquisire il simbolo dell’Msi, fra Lino Guaglianone, ex Nar, oggi con Alessandra Mussolini, l’avvocato Piero Porciani, dirigente della Fiamma tricolore e legale dei poliziotti indagati per i pestaggi di Genova in occasione del G8, e Gaetano Saya, il fondatore del Nuovo Msi-destra nazionale, finito agli arresti un paio di anni or sono per aver costituito una sorta di personale e illegale polizia parallela, denominata Dssa (Dipartimento di studi strategici antiterrorismo). D’altro canto i capogruppo di Alleanza nazionale e Lega Nord al Comune di Milano, Carlo Fidanza e Matteo Salvini, hanno ricevuto le visite degli esponenti di “Cuore nero” e assicurato loro una soluzione per la sede. A premere sul partito di Bossi, soprattutto Marco Rondini, un tempo nell’ultima creatura di Franco Freda, il Fronte nazionale (da non confondersi con quello di Tilgher e Delle Chiaie), organizzazione sciolta, grazie alla legge Mancino, con decreto ministeriale nell’ottobre del 2000. Nell’attesa un industriale simpatizzante di Alleanza nazionale ha messo a disposizione in provincia, per i raduni e i concerti, un capannone di sua proprietà. In ogni caso “Cuore nero” potrà contare, per le sue iniziative, sugli spazi offerti dalla Comunità giovanile di Busto Arsizio, gestita da affiliati al circuito skin neonazista lombardo. L’estrema destra milanese è dunque in fermento. Circola da tempo anche un vecchio dossier con tanto di foto, nomi, indirizzi e luoghi frequentati dagli avversari di sinistra. Qualcuno, di recente, ha deciso di aggiornarlo. È ormai evidente a tutti, questura compresa, che alcuni gruppi più legati ai giri di malavita sono di fatto incontrollabili. Quando agiscono non si limitano all’intimidazione verbale.
Saverio Ferrari
Milano, 3 luglio 2007