La brigata occupava da oltre un mese la vasta zona delimitata all’incirca: a nord da Monte Sole, a sud-ovest da Monte Salvaro, a ovest dal fiume Reno, a est dal fiume Setta; all’altezza di Pioppe di Salvaro, sul Reno; di Gardelletta e Veggio, sul Setta.
I tedeschi hanno attaccato questa zona il giorno 29 settembre.
Pare che l’attacco abbia avuto inizio alle ore 5; comunque l’allarme generale è stato dato solo alle 7. A quell’ora le forze attaccanti operanti sul Reno, dal Setta e probabilmente dalla base di Grizzana a sud, si erano già infiltrate profondamente nelle nostre posizioni principali, sia a est (Ca’ Dotto, Ca’ Dorino), sia a ovest ed a sud-ovest (località Le Scope, Monte Salvaro, località Termini).Queste due rapide infiltrazioni disorientavano completamente due battaglioni che li presidiavano, cosicché, nel volgere di pochi minuti, dopo breve e sporadica resistenza a Ca’ Dotto, ove una squadra comandata da Rino, accerchiata dagli attaccanti, si difese con valore e accanimento, due reparti, della forza complessiva di 250 uomini, si sbandavano disordinatamente, scomparendo dalla lotta. Da quel momento rimasero in campo, a sostenere l’attacco del nemico, due battaglioni (dei quattro che comprendeva la brigata) della forza complessiva di 170 uomini circa.
Della lotta sostenuta da questi reparti non posso portare una testimonianza personale, essendo stato coinvolto nello sbandamento dei primi due battaglioni. Tuttavia è accertato che questi due battaglioni, che si trovavano al di fuori della zona di maggior penetrazione, sono riusciti a portarsi su Monte Sole, mantenendo la posizione sino all’imbrunire nonostante il tiro concentrato ed intenso dei vari pezzi di artiglieria e dei mortai nemici.
Non conosco la portata dei combattimenti sostenuti da quella posizione; mi è noto soltanto che le nostre perdite sono state lievi. Segnalo che 40 prigionieri russi, entrati recentemente nelle nostre file, sono andati per ben quattro volte all’assalto di una quota già occupata dal nemico, riuscendo infine ad espugnarla. Li ha spronati e guidati in questo attacco, al grido di hurrà Stalin, un caposquadra italiano di nome Sgargi (Gastone Sgargi), da Molinella, di anni 19. Lo Sgargi, al termine dell’azione, è stato ferito da pallottola esplosiva, riuscendo però a portarsi in salvo ugualmente.
Alla sera del 29 settembre anche questi due reparti, dietro consiglio del comandante di battaglione Otello (Otello Musolesi) si sono sciolti, tentando, a gruppi, di sganciarsi in varie direzioni. Con ciò la brigata cessava di esistere come unità combattiva. Le nostre perdite in uomini, fra morti e feriti e prigionieri, sono state relativamente lievi; pare che non superino la ventina. Più forti le perdite di armi: quasi tutte le armi automatiche di reparto, due mitragliatrici pesanti, cinque o sei fucili mitragliatori, un numero imprecisato di armi individuali (fucili, moschetti, mitragliette americane).
Si può affermare che il 29 settembre sia stata una giornata di sbandamento e non di combattimento. Le forze attaccanti erano costituite da SS tedesche e, pare, da elementi fascisti. Sulla entità non ho dati precisi. Si è parlato di 2000 o 3000 uomini. Io credo che non raggiungessero questo effettivo. Comunque erano ben armate e sostenute da un contingente di artiglieria relativamente forte.
Sembra sia stato fatto uso del lanciafiamme e che anche qualche carro armato sia penetrato nella zona di combattimento. Nella zona di combattimento i tedeschi hanno eseguito feroci rappresaglie sulla popolazione. Sono state incendiate decine di case coloniche. È stata incendiata una chiesa (non so bene se di San Martino o Casaglia), riempita prima di civili che vi [hanno] trovato così la morte.
Decine di persone, tra cui donne e bambini in tenerissima età, sono stati condotti nel cimitero di Casaglia ed ivi massacrati a raffiche di mitragliatore. Alcuni bimbi sono stati raccolti feriti nella notte da partigiani che si trovavano ancora nella zona. Una casa colonica è stata riempita di civili e dalle finestre vi sono state lanciate numerose bombe a mano per trucidarli.
In località Pioppe di Salvaro, cento persone sono state fucilate sull’argine di un canale e i corpi lasciati trasportare dalla corrente. I parroci di San Martino e di Casaglia sono stati fucilati. Complessivamente sembra che il numero delle vittime della rappresaglia ascenda ad oltre 300 persone.
Lo sganciamento degli uomini della brigata è avvenuto all’incirca a questo modo: una parte ha abbandonato le armi e si è allontanata in varie direzioni a piccoli gruppi o isolatamente. Un’altra parte, circa una compagnia, comandata da Marino, ha varcato la notte del 29 il Reno, portandosi, armata, nella zona di Malfolle. Il contingente più numeroso, circa 200 uomini armati, ha raggiunto, in due colonne a distanza di un giorno l’uno dall’altro, l’immediata retrovia del fronte nei pressi di Lagaro, nella zona compresa tra l’artiglieria e la fanteria tedesca.
In questo gruppo si trovavano: il commissario di brigata Grisaldi (Umberto Crisaldi), il V. commissario Giacomo (Ferruccio Magnani), il responsabile del Pci Sergio, il commissario di battaglione Giorgio, il capitano di Stato maggiore Gianni (Giovanni Rossi), il tenente del comando Peppino, il comandante di battaglione Celso (Celso Menini), il comandante del battaglione Walter (Giuliano Tarozzi) ed il sottoscritto.
Il commissario Grisaldi si è portato subito nella macchia del monte Farneto comunicando che era rischioso forzare il fronte e consigliando genericamente lo sganciamento degli uomini. Esso si trattenne sul monte Farneto, non sapendo più nulla di lui. Nella notte del 30 settembre il capitano Gianni ed il tenente Peppino dissero di allontanarsi un momento: non li vedemmo più. Apprendemmo in seguito che la notte stessa si erano portati, con pochissimi altri, nella macchia del monte Farneto sperando di passare più facilmente il fronte.
Nella stessa notte si eclissò il ten. Celso. Restammo così con gli uomini noi commissari, il compagno Sergio, il ten. Walter. In queste condizioni la direttiva del V. commissario Giacomo fu la seguente: portarsi con gli uomini rimasti oltre il Reno e continuare la lotta. A questa direttiva aderirono 18 uomini circa su 150. Lo scoraggiamento, la sfiducia e l’anarchia si erano impadronite degli uomini.
La dolorosa defezione degli ufficiali aveva stroncato ogni possibilità di controllo su di essi. Parte abbandonò le armi e si nascose nella zona, parte procedette verso monte Farneto per varcare il fronte. La sera del 1° ottobre, in cui avvenne questo nuovo frazionamento, l’unico ufficiale rimasto, il Walter, che sino a quel momento aveva sostenuto la tesi del passaggio del fronte, ricevute notizie poco rassicuranti per l’impresa, si eclissava asportando 46.000 lire del fondo cassa di brigata.
Il nostro gruppo, allora composto di 18 elementi, fra i quali il V. commissario Giacomo, il commissario di battaglione Giorgio, il compagno Sergio ed io, si portò, dopo due giorni di sganciamento, nella zona di Malfolle, oltre il Reno, ove pensava di raccogliere altri sbandati della Stella rossa e raggiungere con essi la 63ª brigata Garibaldi. Ivi giungemmo la notte del 3 ottobre. Al mattino seguente ebbe inizio nella zona un forte rastrellamento di civili e partigiani sbandati. Il rastrellamento, operato da forti pattuglioni di SS che battevano la macchia ed i burroni con le armi automatiche e bombe a mano, si protrasse sino alle ore 17 circa, costringendoci alla più assoluta immobilità in una ristretta macchia ed allo sganciamento precipitoso in serata. Ciò ci impedì di congiungerci con la compagnia di Marino che si trovava nella zona e che si sbandò ulteriormente.
Caduta l’ultima possibilità di raccogliere i resti della brigata, dopo altre due notti di marcia raggiungemmo, in dieci, nella notte del 5 ottobre, la 63ª brigata, rappresentando, aggregati ad essa, un nucleo della Stella rossa. Aggiungo da ultimo il fatto che, a mio parere, assieme alla assoluta deficienza del servizio informativo, è stato decisivo per le sorti della brigata: al momento dell’attacco, il comandante di brigata, Lupo, ed il V. comandante Gianni non si trovavano presso il comando di brigata, bensì in una casa colonica situata alla periferia del nostro schieramento. In questa casa colonica vi erano le rispettive amanti, presso le quali trascorrevano parecchie notti, otre a quella dell’attacco.
Essi non hanno avuto così la possibilità di esercitare la minima azione di comando. Anzi, la casa è stata fra le prime ad essere investita e circondata. Il V. comandante Gianni si è salvato a stento, gravemente ferito. Del comandante Lupo nessuno ha potuto dare notizie. Tutto fa prevedere che sia deceduto. Ugualmente assente dal comando del suo battaglione si trovava, al momento dell’attacco, il ten. Celso. Ciò per lui costituiva la normalità, sia di giorno che di notte. Posso testimoniare l’energico e combattivo atteggiamento particolarmente del responsabile del Pci Sergio [e] del commissario politico del battaglione Giorgio.
Anche il V. commissario di brigata, Giacomo, ha tentato il possibile per ricondurre, nonostante il caos, gli uomini alla lotta. Conclusione: Accenno che altri fattori, non così immediati come quelli citati, hanno determinato il collasso del 29 settembre 944. Di questi verrà tratta da altri più ampia relazione.
Il commissario politico di battaglione — R. 260 “Bollettino militare” 11-30 settembre 1944; edita in G. Lippi, La Stella Rossa e Mon te Sole, cit., pp. 343-344 e in L. BERGONZINI, La Resistenza a Bologna, V, cit., pp. 271-273. Secondo Luciano Bergonzini (ivi, p. 271) «le osservazioni sul comportamento della Brigata appaiono circoscritte ad aspetti e situazioni verificatesi nel reparto del quale l’estensore della relazione faceva parte. Le considerazioni sul comportamento del comando e degli altri battaglioni (...) non rappresentano altro che giudizi dell’estensore della relazione nella quale, oltre ad una visione estremamente limitata del massacro, risultano informazioni indirette e non verificate su comportamenti singoli (...). Molte affermazioni sul comportamento di uomini più vicini all’estensore della relazione sono risultate del tutto prive di fondamento e sembrano dettate da una frettolosa ricerca di responsabilità».
Resta, comunque, il fatto che il comando regionale diffuse questo testo, in qualche modo facendolo proprio ed accreditandolo.